Traversata di Tahiti Iti, seconda parte

Domenica 19 maggio 2013. In viaggio: giorno 81. A Tahiti: giorno 9. A piedi:giorno 27.

Traversata di Tahiti Iti: giorno 2, dal campo bivacco a Tautira.

Dopo una cena molto abbondante (buonissimo il pesce crudo con latte di cocco) e una notte tutto sommato tranquilla, con calma abbiamo smontato completamente il campo, senza quasi lasciare traccia del passaggio. Come previsto, il percorso di oggi è stato più facile e breve rispetto a quello di ieri. Certo, la concentrazione ad ogni passo deve essere sempre massima, pena l'ennesimo capitombolo, ma il tempo finalmente sereno e le frequenti pause per nuotare e tuffarsi nelle numerose, spettacolari piscine naturali hanno semplificato molto la vita.

I due guadi che talvolta risultano insuperabili a causa dell'eccessiva forza del torrente non hanno presentato particolari problemi. In ogni caso, Francois, una delle guide con le quali ho passato più tempo, ci ha detto che in caso di problemi ai guadi esiste anche un percorso alternativo, ma – così dice – non è come camminare sui Champ-Elysees… mah, modi di dire francesi.

Ogni tanto, anche nelle zone più selvagge, ci imbattiamo in alberi carichi di frutti. Al mio sguardo interrogativo, tutti mi rispondono con il nome dei frutti in tre lingue: inglese, francese, e tahitiano. Eccellenti i passion fruit locali. Invece di essere tondi, marroncini e raggrinziti come quelli che si trovano nei nostri supermercati, sono molto più grandi, perfettamente lisci e hanno una forma oblunga. Il colore vira dal verde quando acerbi, al giallo quando pronti per il consumo. Ne abbiamo raccolti e divorati parecchi, slurp.

Grazie a PatrickL che ha registrato l'intero percorso con il suo GPS, e a PaulC che gentilmente da Trento lo ha elaborato, posso ora correggere quanto scritto ieri a proposito della lunghezza delle tappe. Ieri abbiamo camminato quasi 22km e non 10km come mi avevano detto. Media oraria comunque bassa, ma sicuramente più verosimile. Oggi abbiamo camminato per circa altri 10km. In alto, sopra al titolo, un'elaborazione grafica con Google Earth preparata da PaulC. Grazie PatrickL, grazie PaulC.

Tuffatore.

 

Traversata di Tahiti Iti, parte prima

Mappa ritagliata da Lonely Planet

Sabato 18 maggio 2013. In viaggio: giorno 80. A Tahiti: giorno 8. A piedi: giorno 26.

Traversata di Tahiti Iti: giorno 1, da Teahupoo al campo bivacco.

Inizio del cammino, dal giardino di una guesthouse, direttamente nella giungla.

Pensavo che le dicerie sulle difficoltà delle montagne di Tahiti fossero esagerazioni, ma mi devo ricredere.

Grazie ad una fortunata serie di coincidenze e al fondamentale aiuto di Marurai, il gestore del Punatea Village, sono riuscito ad aggregarmi a un gruppo di camminatori del posto, con l'obiettivo di fare la traversata integrale di Tahiti Iti. Organizzazione a cura di Tahiti Reva Trek, un'agenzia di guide locali coordinata dalla brava ed energetica Angelina. Le guide pensano un po' a tutto: trasporti (auto + bus + barca), cene, colazioni, allestimento del campo bivacco, oltre ovviamente ad accompagnare e a curare i partecipanti lungo il cammino.

In mezzo alla pioggia, ecco una guglia piuttosto famosa, detta Naso di Chirac. Non sono sicuro di aver capito bene, ma il nome storico dovrebbe essere traducibile come Il pene dell'eroe.

Il gruppo è molto numeroso – quasi 30 persone – e si respira una certa eccitazione; il cammino è infatti fra i più impegnativi dell'isola e viene percorso non più di tre o quattro volte all'anno. Sono l'unico vero turista, l'unico a non parlare francese. Quasi tutti sono però francesi di Francia che, per i più disparati motivi, si trovano a lavorare a Tahiti, alcuni solo per alcuni mesi, altri a tempo indeterminato. Tante storie di vita interessanti e mai banali.

Fortunatamente una delle guide ha il compito di occuparsi dello straniero. Si chiama Chen, tahitiana da tre generazioni, di origini cinesi, ha vissuto in Nuova Zelanda per un anno e dispone di un ottimo inglese. Oltre a tradurre in tempo reale le indicazioni di Angelina, mi ha regalato preziose informazioni sull'isola, sia dal punto di vista naturalistico (piante, animali, frutti commestibili), sia da quello antropologico (genti, lingue, tradizioni). Oltre ad Angelina e Chen ci sono un'altra decina di persone dell'agenzia, fra guide e aiutanti. Non male, direi.

Chen, a sinistra in basso, durante una pausa.

Come spesso accade nelle zone dell'interno, le nuvole e la pioggia dominano la scena. Oggi ha piovuto di continuo, una danza frenetica fra acquazzoni e botte di sole. Il santo poncho non si può mai togliere, ovviamente, ma durante i momenti di sole diventa una terribile sauna portatile.

Qualche numero. Otto ore di cammino per poco più di 10 20 chilometri effettivi. Com'è possibile? Semplice, il sentiero non esiste. Non esiste nemmeno una traccia degna di questo nome. Passiamo nel mezzo della giungla, fra colpi di machete, seguendo i segni incisi sulla corteccia degli alberi da Angelina qualche tempo fa. L'idea di base della traversata è di risalire i torrenti fino a scavalcare un passo fra i monti, dormire nei dintorni, e il giorno dopo infilarsi in un'altra valle sempre seguendo il corso di altri torrenti.

Momento di pausa con nuotata.

A pranzo.

Innumerevoli, davvero innumerevoli, i guadi e i tratti da fare direttamente immersi fin quasi in vita. Quando non si cammina in acqua, il terreno risulta estremamente sconnesso e scivoloso. Radici, sassi, rocce, tutto ricoperto di muschio verde, appoggiati su uno strato di fango viscido, con la stessa consistenza e viscosità del… catarro. Inevitabili le cadute; la sera tutti abbiamo collezionato qualche botta, tagli, contusioni. Io me la sono cavata con un gomito sbucciato e una caduta in acqua (zaino, poncho e tutto…), ma c'è a chi è andata peggio. In foto, le cure prestate a un signore che cadendo ha avuto la sventura di aggrapparsi a un bambù affilato, procurandosi un taglio piuttosto profondo sul palmo della mano.

Primo soccorso lungo il guado.

Ad un certo punto della salita abbandoniamo il torrente, ormai ridotto a rigagnolo che spunta dalle rocce, per prendere la direttissima: duecento metri di dislivello su una parete di rocce e fango. Attrezzata con (provvidenziali) corde fisse, in molti punti bisogna procedere a forza di braccia, anche perché i piedi non riescono a fare presa sul fondo troppo viscido. Una gran fatica.

Dall'altra parte del passo, ancora quasi tre ore di discesa sul solito terreno sconnesso e siamo arrivati al campo. Molto bello, una serie di teloni per proteggere dalla pioggia, montati su una struttura di bambù costruita in giornata usando materiali trovati nei dintorni. Un bel fuoco, un telone cucina e, per alcuni fortunati, una sorta di palafitta di bambù dove dormire la notte. Io mi sono dovuto accontentare di un letto di foglie, sempre comunque protetto da uno dei grandi teloni. L'atmosfera, mentre scrivo sul taccuino, è allegra e cooperativa, anche se quelli che oggi hanno fatto più fatica ora stanno già dormendo, completamente devastati dallo sforzo.

Cucina del campo bivacco.

Le guide stanno preparando una cena molto abbondante, con pietanze tradizionali di Tahiti. C'è il pesce crudo (che poi crudo non è), il frutto del pane, il corned beef, bistecche di Marlin alla piastra, e molto altro. In questo momento ho una fame terribile… spero sia pronto presto.

La tappa di domani dovrebbe essere più breve e più facile di quella odierna, anche se ci saranno i due guadi più profondi dell'intera traversata. Speriamo bene, anche se devo dire che dopo oggi non ho più paura di niente, in particolare… di bagnarmi.

 

Natura indomabile vs strada asfaltata: 1-0

Giovedì 16 maggio 2013. In viaggio: giorno 78. A Tahiti: giorno 6.

Ieri pomeriggio ha piovuto. Tanto.

Visto che è complicato trovare un'agenzia disposta ad organizzare una spedizione sui monti per una sola persona (forse domattina riceverò buone notizie in proposito), nel frattempo ho deciso di seguire il consiglio del gestore dell'albergo: gita di mezza giornata a Plateau de Taravao. Tutta su strada asfaltata, con brevi tratti sterrati, comunque interamente percorribili anche con auto 4×4. La destinazione si trova a poco più di 500m di quota, con bellissimi panorami verso il punto in cui le due parti dell'isola di Tahiti si toccano.

Il Plateau de Taravao, in basso a destra nella mappa, presenta diverse vie d'accesso, almeno in teoria. In alto, sulla costa, il mio albergo Punatea Village. Il gestore mi ha suggerito il tratto B, sia all'andata, sia al ritorno. Non sia mai, esigo un percorso circolare; senza dirgli nulla opto per A all'andata e C al ritorno, con 4km finali lungo la statale per tornare all'albergo. E' vero che ha accennato al fatto che A non è più percorribile, ma magicamente la mia mente eclissa questa informazione, supportata dalle immagini satellitari che mostrano chiaramente una strada asfaltata.

Quel che resta della strada (in basso si intravede una striscia bianca).

Dopo la pioggia di ieri (vedi foto sopra), oggi è una bella giornata e alle 8 di mattina precise parto tranquillo, aspettandomi qualcosa di poco più che banale. Invece… sorpresa; c'è stata infatti una lotta violenta fra l'asfalto e la natura rigogliosa, con ampia vittoria di quest'ultima. Per motivi ignoti, la strada A da qualche anno è stata abbandonata al suo destino. L'asfalto non è messo male e le strisce sono ancora ben bianche, quindi immagino che l'abbandono sia avvenuto al massimo 5 anni fa, forse molti meno. Incredibile come la giungla si sia mangiata la strada. Non c'è più nulla di artificiale, solo erba, rampicanti, arbusti, fiori pieni di api, rami, felci giganti. Stavo per rinunciare, quando ho notato alcuni steli piegati e una minuscola traccia. Evidentemente non sono l'unico pirla a voler passare da qui. Con qualche difficoltà legata all'erba alta oltre 3 metri, alle nuvole di api, al fondo viscido, ho passato l'ostacolo nel giro di venti minuti, fino a sbucare, bagnato e nero di fango, in una vera strada poco sopra. Curioso che qualcuno si sia preso la briga di installare delle corde fisse – molto utili, per altro – per superare i tratti più ripidi.

Muri di felci a lato strada.

Il resto della gita ha seguito le aspettative, una comoda passeggiata in un ambiente comunque piuttosto inusuale. Per prima cosa gli altissimi muri di felci e i frequenti passaggi che sembrano gallerie scavate nella giungla più densa. Ho trovato anche parecchie squadre di operai che ripulivano, tagliavano, sfoltivano… più che opportuno, direi.

Poi, in quota, mi hanno sorpreso le mucche al pascolo. Niente di strano in realtà, ma nella mia testa le mucche stanno in montagna, non certo a poche centinaia di metri dalla costa di un'isola tropicale. Il panorama dal Plateau de Taravao potrebbe essere sicuramente formidabile, ma è da tre giorni che le nubi hanno inghiottito le cime più alte dell'isola; la vista ne risulta di conseguenza un po' impedita (vedi foto).

Affamato come un lupo, alle 12 sono arrivato a Taravao e mi sono infilato in un ristorantino a caso, confidando in prezzi ragionevoli. Dopo tutto, mi trovavo nella periferia estrema di un villaggio secondario. Alla faccia del ragionevole! Il piatto più economico, filetto d'anatra, costava 28 euro. Devo ammettere però che ne valeva la pena: buonissimo e tantissimo, quel che ci voleva. Niente foto, la fame ha prevalso…

Non avevo mai visto una palma del genere.

Alberi giganteschi con fiori rossi. Che siano rododendri anche questi, come in Nepal? Ne dubito fortemente, ma...

 

Disavventure a Tahiti

Domenica 12 e lunedì 13 maggio 2013. In viaggio: giorno 75. A Tahiti: giorno 3.

Non so bene da dove iniziare… mah, proviamo dal punto più basso, questo pomeriggio verso le 15:30, in un luogo imprecisato lungo la statale fra l'aeroporto e la capitale Papeete. Ho trovato dove dormire questa notte. In cima a una rampa di terra, una minuscola piazzola di cemento, subito sotto la base di un cavalcavia. Come mi sono ridotto a dormire sotto a un ponte?

Tahiti è l'isola più grande della Polinesia Francese. Solo la costa è abitata, con tutta la parte interna completamente selvaggia, alte montagne oltre i 2000 metri e fitta giungla tropicale. La capitale e l'aeroporto sono nell'estremità nord-ovest, mentre gli alberghi, i villaggi e i resort sono distribuititi lungo i 200 e oltre chilometri di costa. Grazie al solito booking.com ho trovato una buona offerta: una stanza senza bagno in un piccolo complesso con bel giardino tropicale, spiaggia privata, cucina pubblica, connessione wifi. Prezzo bassissimo per Tahiti – circa 40 euro a notte – meno della metà della seconda migliore offerta. Si trova a Taravao, a quasi 60km dall'aeroporto, ma ho fatto i miei compiti e ho scoperto che esiste un servizio di autobus pubblici che copre tutta la costa: nessun problema!

Passatempo domenicale per i tahitiani.

Prima sorpresa ieri mattina: di domenica gli autobus NON girano… Che fare? A piedi, 60km con zainone e caldo umido (da 27°C a 32°C) sono troppi. I taxi hanno costi esorbitanti. Provo l'autostop, ma non funziona. Può darsi che sia vietato, oppure che io non ispiri molta fiducia agli automobilisti; in ogni caso, dopo un'ora di vani tentativi decido di rinunciare. Mi resta la possibilità di noleggiare una macchina. Costa parecchio, circa 80 euro, ma comunque sarebbe una buona occasione per girare l'isola in autonomia. Ecco quindi il piano. Domenica 12 maggio: auto a noleggio, giro dell'isola, insediamento nella stanza. Lunedì 13 maggio: riconsegnare l'auto all'aeroporto, prendere l'autobus verso Taravao e godermi un pomeriggio di relax sguazzante.

Tutto sembra procedere per il verso giusto: l'isola è all'altezza delle aspettative (vedi foto), visito tutti i 200km di costa e stamattina riconsegno puntuale e senza danni l'auto all'aeroporto. Qui iniziano i miei guai. L'ultima corsa per Taravao dovrebbe passare verso le 13, ma non mi preoccupo, sono le 11:30 e ho un sacco di tempo. Alle 12 passa il mio autobus, lo vedo, agito il braccio come mi hanno insegnato, l'autista mi vede, fa uno strano gesto (si passa una mano sopra la testa…) e tira dritto senza nemmeno rallentare. Boh, forse era pieno, anche se non mi sembra. Dopo un'ora di attesa sotto il sole, ecco l'ultimo autobus utile. Lo vedo, mi vede, stesso (stupido) gesto e tira dritto. Maledizione, sono bloccato un'altra volta all'aeroporto! Riprovo con l'autostop, ma anche questa volta niente da fare. Dopo un'ora di inutili tentativi, mi arrendo.

Ecco il piano B. Fingere di dover prendere un aereo, dormire all'aeroporto, e domattina riprovare con l'autobus. Per passare il tempo, decido comunque di camminare fino a Papeete e di scoprire da dove partono gli autobus, tanto per non rischiare lo stesso scherzo anche domani. Sono solo 5km, ma il sole picchia forte e a metà strada, passando sotto al famoso cavalcavia, lo eleggo a mia dimora per la notte.

Poi, il colpo di fortuna. Vagando a casaccio sul lungomare intravedo in lontananza un autobus fermo. Mi avvicino lentamente e capisco di essere arrivato al capolinea, ottimo. Ehi, ma quell'autobus è il mio, è quasi pieno e sta per partire… lo piglio al volo. Beh, evidentemente quella delle 13 non era l'ultima corsa. Mi sono perso il pomeriggio sguazzante ma sono contento di essere arrivato; la notte sotto al ponte è rimandata…

Ecco la mia piscina.

La spiaggia privata dell'albergo.

Ancora la spiaggia privata dell'albergo.

Per i prossimi giorni prevedo di restare più o meno fermo e di godermi un po' di riposo. Unica eccezione, cercherò di organizzarmi per esplorare a piedi le cime dell'entroterra, anche se per questo sarà necessario appoggiarsi ad un'agenzia; è infatti proibito (e pericoloso) muoversi autonomamente nella giungla. A Tahiti aggiornerò il blog solo saltuariamente, concentrandomi soprattutto, se ci saranno, sui giorni a piedi.

Ultimi scampoli di Nuova Zelanda

Gli ultimi giorni di Nuova Zelanda restano senza diario, ma ci sono alcuni punti che mi sembra giusto sottolineare, anche per mia futura memoria. In ordine cronologico:

  • Madama Butterfly a Wellington. Un “bravo!” a Piero e un grazie ad Antonella per la bella serata a teatro. Fino a pochi giorni prima non conoscevo per nulla Madama Butterfly ed è stato sorprendente scoprire come la musica, il canto, la recitazione, i costumi possano dare forza e carica emotiva a un libretto che di per sé mi era sembrato deboluccio e inconcludente. Emozionante! Ora ho sete di altre opere…
  • Jessie a Auckland. Sabato pomeriggio. Sto per entrare al cinema per vedere il nuovo film di Star Trek (una ciofeca…). Per ingannare l'attesa controllo rapidamente il pannello di controllo del blog, anche se già so che non troverò nulla di interessante (in Italia è ancora notte). Invece ecco un commento di Jessie, neozelandese di Auckland, originaria di Taiwan, che ha vissuto a lungo in Italia, fra Veneto e Trentino. Tramite FrancescaO, nostra comune amica, le avevo mandato i miei piani di viaggio, ipotizzando un incontro a Auckland, ma non avevo mai ricevuto risposta. La chiamo subito al telefono e, nonostante lo scarso preavviso, è disponibile per portarmi in giro a conoscere la città by night. Jessie è simpatica e molto brillante, parla benissimo l'italiano, oltre ovviamente a inglese e cinese mandarino, entrambe lingue che domina da madrelingua. Si unisce a noi anche la sua amica Rachel, una gentile e simpatica signora americana sulla sessantina, e passiamo insieme una bella serata. Luogo principale, il casinò inserito ai piani bassi della famosa Sky Tower di Auckland, questa sera illuminata di rosso. Poi pub con birra locale, e lunga passeggiata fino al molo, con vista sul famoso ponte della città. Grazie Jessie, spero di poter ricambiare un giorno in Italia.
  • Ho fatto il conto dei chilometri. In 17 giorni ho guidato per 3800km. Molto, molto più di quel che pensavo… troppi.

 

Pancakes a Punakaiki

Mercoledì 8 maggio 2013. In viaggio: giorno 69. In Nuova Zelanda: giorno 15.

Pochi minuti dopo essermi svegliato.

Ho guidato praticamente tutto il giorno, lungo strade immerse nella natura: tratti lungo il mare, altri nell'umida foresta di felci, altri a fianco di verdi prati costellati da immense distese di pecore. Poi verso sera, nell'estremo nord-est dell'Isola Sud, vigne a perdita d'occhio, tutte vestite con i tipici colori dell'autunno.

Ho però fatto una colazione e un dopo-colazione particolari. Da mangiare, una pila di pancake con bacon, banane, sciroppo d'acero e panna. Da vedere, le stranissime formazioni rocciose di Pancake Rocks.

Si tratta di grandi rocce, scure e apparentemente molto dure, che presentano una struttura stratificata simile, appunto, a una pila di pancake. La guida dice che si tratta di una formazione unica al mondo e che, al momento, non esiste una spiegazione scientifica soddisfacente dell'origine del fenomeno. Si tratta ovviamente di una forza d'erosione legata al moto del mare che qui si scaglia contro le rocce con particolare violenza, ma non si riesce a capire da dove emerga la regolarità delle forme.

Altro fenomeno interessante, forse legato al primo, i cosiddetti blowholes. Buchi nella roccia che, in particolari condizioni di marea e di forza delle onde, sputano acqua di mare verso il cielo, come fossero geyser. La spiegazione in questo caso è nota. Sotto le rocce, ci sono grandi caverne piene d'acqua di mare. Durante l'alta marea le onde più forti entrano violentemente nelle caverne e spingono un po' di schiuma verso gli sfiati, che si trovano molto più in alto, anche 15 o 20 metri. Ho avuto la fortuna di arrivare verso le 9:30, proprio in coincidenza con il picco dell'alta marea, potendo assistere quindi al fenomeno. Impressionante soprattutto quello chiamato “Sudden Sound“; si vede poco, solo uno sbuffo quasi invisibile, ma il rombo e il rumore sembrano quelli di un terremoto.

A parte la parentesi di domani sera (Madama Butterfly a Wellington!), passerò il resto del mio soggiorno in Nuova Zelanda a guidare, con una mezza giornata finale di riposo e relax a Auckland. Blog sospeso quindi almeno fino al 12 maggio, quando (forse) riprenderò a scrivere da Tahiti.

 

Franz Josef Glacier

Punto più vicino al bordo del ghiacciaio. Il ranger... è una sagoma di cartone.

Martedì 7 maggio 2013. In viaggio: giorno 68. In Nuova Zelanda: giorno 14.

Non c’è molto da aggiungere rispetto a quanto scritto ieri a proposito dell’altro ghiacciaio. Sono vicini l’uno all’altro, condividono origini, comportamento, numeri… Comunque non potevo certo lasciarmi scappare il Franz Josef Glacier.

La passeggiata dal parcheggio è solo leggermente più lunga, circa un’ora e mezza in totale, ma sempre molto facile e adatta a tutti. La lingua di ghiaccio perenne si è ora molto ritirata anche solo rispetto a pochi anni fa. Ho visto alcune vecchie fotografie di inizio ‘900 e l’acquerello disegnato nel 1872 da uno dei primi esploratori. La larga valle che ora è una semplice distesa di pietre grigie attraversata dal fiume glaciale, all’epoca era un gigantesco palazzo di ghiaccio, con tanto di guglie, campanili, profondissimi crepacci.

La valle che fino a non molti anni fa era interamente occupata dal ghiacciao. Si vedono ancora i segni.

Come si presentava il ghiacciaio nel 1872...

Dopo aver esplorato tutti i sentieri della zona, sono ripartito verso nord. La mia intenzione era di arrivare nel famoso sito di Punakaiki, dove ci sono le celebri pietre pancake, ma mi sono dovuto fermare una ventina di chilometri prima. Ho trovato infatti un lookout (i.e. punto panoramico) a picco sul mare, orientato perfettamente a ovest… spero in un bel tramonto. A poche decine di metri dalla costa ci sono dei pinnacoli rocciosi che richiamano le forme dei dodici apostoli australiani. Il tipo di roccia però è diversa e, sorprendentemente vista la posizione, sono ricoperti da abbondante vegetazione.

Confermata la mia partecipazione giovedì sera alle prove generali di Madama Butterfly a Wellington, su invito di Piero, incontrato insieme ad Antonella alcuni giorni fa sul traghetto. Ieri sera mi sono procurato il libretto e ho fatto alcune ricerche. A quanto pare Piero è un celebre tenore, con un curriculum molto, molto prestigioso. In questa occasione coprirà il ruolo di Pinkerton che, da una rapida scorsa del libretto, dovrebbe essere il protagonista maschile dell’opera! Fra oggi e domani conto di studiarmi per bene l’intero libretto.

 

Uno strano ghiacciaio

Fox Glacier, parte alta.

Lunedì 6 maggio 2013. In viaggio: giorno 67. In Nuova Zelanda: giorno 13.

Dopo una notte di freddo e pioggia, mi sono spostato alcune centinaia di chilometri verso nord. Dalle parti di Haast si è alzato un vento formidabile che nel giro di mezz'ora ha fatto sparire le nubi. Ho poi scoperto che in tutto il sud ovest c'era un'importante allerta meteo proprio a causa del vento, che ha raggiunto punte di 120km/h. A parte l'impressionante quasi-tempesta di sabbia alla foce del fiume Haast e le botte che di tanto in tanto facevano tremare il campervan, non ci ho fatto molto caso e ho macinato strada su strada.

Nel primo pomeriggio sono arrivato in un luogo speciale, il Fox Glacier. Questa lingua di ghiaccio già mi aveva affascinato nelle fotografie di Andrea e Barbara, i miei vicini di casa che hanno vissuto per un periodo in Nuova Zelanda. Sembra incredibile, ma da queste parti ci sono ghiacciai che arrivano a quote bassissime. Nel caso del Fox Glacier, il limite dei ghiacci arriva sotto ai 300 metri di quota. Siamo a poco più di 43 gradi di latitudine sud; a parte il segno, all'incirca alla stessa altezza di Ancona…

Fox Glacier, parte bassa, con caverna.

Il clima non è più freddo rispetto all'Italia, solo piove molto di più. In quota, fra i 1700m e i 2800m, si accumulano oltre 30 metri di neve all'anno. Poi, compressi dal loro stesso peso, si buttano nelle ripide vallate che portano al mare. Nella parte alta, il ghiacciaio si muove quasi 5 metri al giorno, mentre nella parte bassa circa 1 metro al giorno. Sono valori 10 volte più alti rispetto a quelli tipici dei ghiacciai di casa nostra. Nel corso della piccola era glaciale fra 1400 e 1700, la lingua di ghiaccio arrivava fino al mare. Anche in tempi relativamente vicini il ghiaccio perenne arrivava molto più in basso; il cartello che indica il livello del 1955 si trova infatti circa 2km più in là rispetto al livello odierno.

La breve e facile passeggiata che dal parcheggio porta fino al limite del ghiacciaio è davvero alla portata di tutti. Poco più di 3km complessivi fra andata e ritorno, difficilmente richiede più di un'ora, compreso tempo per le fotografie e per le pause contemplative.

Stimolato dal racconto di una famiglia di brasiliani incontrati per caso nei bagni pubblici di Haast, sono andato a fare la passeggiata del Lake Matheson. Poco distante dal Fox Glacier, questo lago è chiamato anche lago specchio. Se ci si posiziona in un opportuno punto panoramico in condizioni di poco vento, allora si può godere di una vista eccezionale. Il Monte Cook e i suoi vicini, perennemente innevati, si specchiano perfettamente nelle acque del lago, generando un'ideale scorcio da cartolina. Basta però un filo di vento o uno strato di nuvole, per vanificare il tutto. Il giro del lago richiede poco più di un'ora a piedi e il punto X è esattamente dalla parte opposta rispetto al punto di partenza.

Monte Cook e suoi vicini quando ho iniziato a camminare.

Quando ho iniziato a camminare le condizioni erano ideali (vedi foto con prato): cielo blu intenso, poche nuvole, bella luce, poco vento. Nella mezz'ora che ho impiegato per raggiungere il punto panoramico alcune nuvole hanno sporcato i monti e un leggero venticello ha increspato le acque. La fotografia non è quindi riuscita granché bene, ma credo comunque che possa dare un'idea della bellezza del posto.

Ora sono una trentina di chilometri più a nord, dove si trova il ghiacciaio gemello, se possibile ancora più famoso: il Franz Josef Glacier. Domani dedicherò tutta la mattina a percorrere l'intricata rete di sentieri della zona. Le previsioni del tempo, una volta tanto, sono molto buone.

 

Piopiotahi

Domenica 5 maggio 2013. In viaggio: giorno 66. In Nuova Zelanda: giorno 12.

Jucy, la stessa azienda del campervan. Ho ottenuto il 50% di sconto grazie a questo.

Questa volta le previsioni ci hanno preso: tanta tanta acqua, senza tregua per tutto il tempo che ho trascorso in questo luogo lontano da tutto. D'accordo che qui piove quasi sempre, ma stavolta c'è in più una perturbazione vera e propria che sta affliggendo buona parte della Nuova Zelanda.

Le piccole navi che portano i turisti lungo il fiordo non si fanno certo spaventare da qualche goccia d'acqua e quindi alle 9:45 siamo partiti, tutti ben bardati per l'occasione. Fortunatamente il nebbione di ieri pomeriggio si è dissolto e siamo riusciti a vedere qualcosa, anche se solo a livelli di grigio.

Sono rimasto nuovamente impressionato dalle innumerevoli cascatelle temporanee che si creano durante le piogge. La guida ci ha spiegato che qui piove così tanto che, nonostante il fiordo sia ovviamente una lingua di mare che scava fra i monti, i primi tre metri vicini alla superficie sono di acqua dolce.

Sempre grazie alla guida, ho scoperto un nuovo fenomeno: la valanga di alberi (tree avalanche)… Le pareti rocciose a picco sono così ricche di acqua che si forma uno spesso strato di licheni verdissimi. Su questo, nel tempo, crescono infiniti alberi, fino a formare una foresta densissima, che sembra nascere direttamente dalla roccia. Di tanto in tanto, durante le peggiori tempeste, una zolla di licheni si stacca e, con alberi e tutto, si tuffa nel mare, trascinando tutte le altre piante che stanno sotto. Si tratta di un evento spettacolare e spaventoso, ma molto difficile da avvistare. Evidenti sono invece le tracce di valanghe recenti e meno recenti (vedi foto).

Sulla sinistra, segni di una valanga di alberi.

Dopo pranzo ho iniziato la risalita verso nord che, nel giro di una settimana, mi riporterà a Auckland. Mentre all'andata ho seguito la costa est dell'Isola Sud, al ritorno seguirò quella ovest, notoriamente più piovosa. Ora sono accampato in una piazzola a lato strada, con l'attraversamento della Alpi da est a ovest quasi completato.

Tardo pomeriggio, lago nei pressi di Queenstown.

 

Niente Milford Track

Anche lui sta valutando se partire oppure no...

Sabato 4 maggio 2013. In Viaggio: giorno 65. In Nuova Zelanda: giorno 11.

Sono stato in bilico fino all'ultimo. Ho visitato e tempestato di domande tre diversi uffici informazioni, compreso quello ufficiale del parco nazionale. Ho parlato con il titolare dell'agenzia che avrebbe organizzato i trasporti. Senza andare troppo nei dettagli, alla fine ho deciso di rinunciare per diversi motivi. Prima di tutto, la previsioni del tempo sono disastrose. Milford Sound e dintorni è una zona estremamente piovosa e non ci sarebbe nulla di strano in un po' d'acqua. Le previsioni però dicono intensa nevicata per domani e dopodomani a partire dai 400m di quota. Il guaio è che nel corso del secondo giorno di cammino dovrei salire un passo intorno ai 1000m, con traccia di sentiero che notoriamente diventa invisibile in caso di neve. Nel manuale consigliano di affidarsi al navigatore GPS per trovare la giusta via. Secondo aspetto, la stagione dei cammini è terminata il 30 aprile e ora gli operatori del parco stanno rimuovendo i ponti, per preservarli dalle valanghe che cadono spesso durante l'inverno. Si parla di almeno una quindicina di torrenti da attraversare. Il manuale dice che durante e dopo una forte pioggia i vari guadi possono arrivare ad altezza vita e che talvolta i corsi d'acqua sono così impetuosi che… consigliano di aspettare (cosa? la primavera?).

Insomma, probabilmente sarebbe stato fattibile, ma avrei corso qualche rischio di troppo.

Sulla strada per Milford Sound, con nuvoloni in lontananza.

Come programma alternativo, mi sono spostato in auto fino a Milford Sound e ora sono in un bel campeggio a poche centinaia di metri dal molo. Il Sole stamattina illuminava Te Arau, ma era chiaro che verso le montagne il maltempo era già arrivato.

Parete che piange, poco lontano da Milford Sound.

Nonostante l'acqua, la famosa strada che da Te Arau porta a Milford Sound (due ore, 110km) è altamente spettacolare. Impressionanti le montagne che piangono; ogni volta che arriva una forte pioggia (cioè quasi tutti i giorni), si formano innumerevoli cascate bianche su tutte le pareti.

Sono stato al molo, ma per ora non si vede un tubo. Domattina farò una gita in nave lungo tutto il fiordo, fino ad arrivare al Mare di Tasmania. Spero che nel frattempo il nebbione si alzi, anche se non ho molte speranze per la pioggia, che dovrebbe cadere abbondantissima fino a lunedì sera.

Milford Sound questo pomeriggio. Spero in qualcosa di meglio domani mattina...

 

Montagne e laghi turchesi, sempre più a sud

Nebbione a Lake Tekapo.

Venerdì 3 maggio 2013. In viaggio: giorno 64. In Nuova Zelanda: giorno 10.

Dopo innumerevoli favoritismi, oggi la dea bendata mi ha voltato le spalle. Dopo una freddissima (2°C) e piovosa notte accampato presso Lake Tekapo, speravo in uno dei soliti capovolgimenti atmosferici, ma mi è andata male.

Lake Tekapo è famoso per i minerali in sospensione che gli donano una colorazione particolare, turchese, simile a quella degli Emerald Lakes di qualche giorno fa. Una serie di bellissime montagne dovrebbe fare da sfondo, e gli alberi, che ormai vestono l'abito autunnale, dovrebbero specchiarsi nell'acqua creando spettacolari composizioni. Io ho beccato pioggia e un nebbione impenetrabile (vedi foto).

I colori di Lake Tekapo.

Pochi chilometri dopo, uno degli altri obiettivi di giornata: Lake Pukaki. Lungo lungo, stessi colori dell'altro lago, in fondo dovrebbero essere visibili le più alte cime della Nuova Zelanda, a partire dal celebre Monte Cook (3755m). Nella fotografia, il pannello informativo con le cime che si dovrebbero vedere… Io ho beccato pioggia e un nebbione impenetrabile (vedi foto).

Quello che si dovrebbe poter vedere da Lake Pukaiki.

Quello che ho visto da Lake Pukaki...

Un po' abbacchiato, mi sono allora portato verso Queenstown che, nuovamente, dovrebbe presentarsi come la città più bella dell'intera Nuova Zelanda. Quando sono arrivato, verso ora di pranzo… pioggia e nebbione impenetrabile. Che tristezza. Ho girato allora per la ricca zona dei negozi che, per frequentazione e tipologia, ricorda Madonna di Campiglio o Cortina. Dopo pranzo, un premio di consolazione: nel giro di 20 minuti le nuvole sono tutte sparite e ho potuto ammirare la città nel suo splendore. Un grande lago dalle forme contorte, di colore blu intenso. Colline e montagne che si alzano direttamente dalle sponde, boschi di abeti, e tante case bianche e basse disseminate dappertutto. In più, un'articolata rete di passeggiate che promette giorni e giorni di esplorazioni. Mmm, sembra un bel posto dove fermarsi almeno un paio di settimane… magari in un viaggio futuro.

Una piccola porzione del centro di Queenstown.

Verso sera mi sono spostato a Te Anau (villaggio e lago omonimi), seguendo per oltre 180km una strada altamente panoramica. Arrivato col buio, non ho potuto vedere cosa ha da offrire il paesino, ma domani mi rifarò.

Piazzola picnic lungo la strada panoramica per Te Anau.

Questa sera mi concedo una serata in albergo, così finalmente potrò fare una bella doccia calda in ambiente caldo. Domattina andrò a fare visita all'unica agenzia di viaggi che organizza i trasferimenti (bus + barca + traghetto) per il Milford Track anche durante il periodo invernale. Ha sede proprio a Te Anau che, non a caso, è il posto abitato più vicino a Milford Sound.

Neve fresca (intorno agli 800m) questa mattina.

Altro frutto che non conoscevo. Di origina sudamericana, cresce bene anche qui. Assomiglia vagamente al passion fruit, ma il sapore è più acidulo.