Valanga sul Salkantay

Lunedì 3 giugno 2013. In viaggio: giorno 96. In Perù: giorno 5. A piedi: giorno 29.

Salkantay Trek: giorno 1, da Soraypampa (3700m) a Huayracmachay (3800m), via Salkantay Pass (4600m).

All'improvviso, un rombo da far tremare la terra. Guardiamo tutti nella direzione della montagna, ma è nascosta nella nebbia. Capiamo comunque che si tratta di una grossa valanga, partita poco sotto alla cima del Salkantay (6270m). Il frastuono aumenta e, vicino alla base della montagna, la vediamo arrivare. Sembra un'enorme nuvola bianca che cade, si gonfia, risale, per poi fermarsi lentamente. Fortunatamente abbiamo assistito a questo spettacolo della natura da posizione completamente sicura, poco dopo aver superato il punto più alto di tutto il cammino, il Salkantay Pass (4629m).

La giornata è iniziata prestissimo, appuntamento alle 4:30 davanti all'ostello a Cusco. Poi, dopo aver raccolto gli altri compagni d'avventura, tre ore e mezza su strade secondarie fino a Soraypampa (3700m), una località fino a pochi anni fa dedicata alla coltivazione delle patate che oggi è solo il punto di partenza del Salkantay Trek, con tanto di lodge di lusso per turisti viziati.

Da sinistra, Zeno, Celine, Hendrik, Anna, io, Steffi.

Siamo sei camminatori, una guida, uno chef, un aiuto cuoco, due addetti ai cavalli, e cinque cavalli che trasporteranno tutti i materiali per allestire i vari campi. La prima impressione è subito positiva, nonostante l'alzataccia si chiacchiera piacevolemente e il classico rito delle domande “da dove vieni?“, “come viaggi?” riserva alcune sorprese. Ci sono Anna e Hendrik, una giovane coppia di tedeschi che… sta facendo il giro del mondo in sei mesi, seguendo a grandi linee il mio stesso itinerario. Ci sono alcune differenze, ma grosso modo stiamo vivendo la stessa esperienza. C'è poi Steffi, sempre sorridente, anche lei tedesca, che, a qualche anno dalla laurea, ha deciso di prendersi cinque mesi per girare da sola il Sud America. Ora è verso la fine del viaggio e tornerà in Germania fra un paio di settimane. Gli altri due compagni d'avventura, Zeno e Celine, sono una bella coppia di scozzesi che sta facendo una vacanza di alcune settimane in Perù. Lei è in realtà francese, ma ormai da molti anni vivono insieme a Edinburgo.

Sabino, la nostra guida.

Sabino è la nostra guida. Dieci anni d'esperienza, inglese di buon livello, è sempre pronto alla battuta, senza però mai perdere il polso della situazione. Non è solo una guida, ma è anche un appassionato di montagna, tanto che solo pochi giorni fa ha tentato in compagnia di amici la risalita del ghiacciaio del Salkantay, arrivando fino a 5600m. Spassose le sue imitazioni del modo di camminare dei vari paesi (giapponesi, tedeschi, francesi, italiani…).

Chef e aiuto cuoco ci stupiscono con una colazione volante sul prato dove inizieremo a camminare. Sei sedie e un tavolo perfettamente imbandito, sei bacinelle di acqua calda per lavarci le mani, con relativi asciugamani numerati. Colazione abbondante che non ha nulla da invidiare a quella di un albergo. Ottimo inizio.

Il percorso di oggi non presenta alcuna difficoltà tecnica, ma risulta impegnativo per l'altitudine. Partenza a 3700 metri, le prime ore risaliamo la valle formata da due importanti massicci. Quello dell'Umantay (5910m) a sinistra, e quello del Salkantay (6270m) a destra. Le due cime, illuminate da un bel sole, accompagnano i nostri primi passi. Respirare a queste quote costa fatica, ma procediamo tutti più o meno speditamente, senza risentirne troppo.

Verso ora di pranzo il tempo purtroppo cambia. Siamo a 4200m di quota, il sole si nasconde, la temperatura precipita e comincia a cadere qualche sparuto fiocco di neve. Nulla di preoccupante, ma è un sollievo entrare nella tenda/cucina. Molto grande, è divisa in due: da una parte il nostro tavolo già apparecchiato, dall'altra fornelli e cuochi che preparano un pranzo come si deve. Zuppa di mais per iniziare, poi una serie di piatti salutari e sostanziosi: verdure miste, filetto di trota, riso, gran piatto di avocado, e molto altro. Vista la quota e le condizioni della cucina, siamo rimasti tutti stupiti dalla qualità e dalla varietà dei cibi.

La salita verso il passo è ripida, ma nel giro di poco arriviamo in cima, contenti nonostante la visibilità sia un po' limitata dalla nebbia. Dopo l'impressionante evento della valanga abbiamo iniziato la lunga discesa fino ai 3800m del campo allestito per la prima notte. Ho una bella tenda da 4 persone tutta per me, con un materassino morbido, cuscino, e coperta aggiuntiva in caso di bisogno. Ottima organizzazione.

Ora sono nella tenda/cucina, con i cuochi che lavorano a tutto spiano e i compagni d'avventura che si rilassano dopo una giornata così intensa.

 

Rapa Nui costa nord

Sabato 25 maggio 2013. In viaggio: giorno 87. Isola di Pasqua: giorno 5. A piedi: giorno 28.

Rapa Nui costa nord: giorno 1.

Ecco Sebastian.

Ieri ho esplorato praticamente tutta l'isola, per lo meno dove è possibile e consigliato avventurarsi senza guida. La giornata di oggi è invece dedicata a percorrere a piedi la costa nord dell'Isola, la meno frequentata, praticamente senza sentieri. Mi affido a una coppia di fratelli del posto, Nicolas e Sebastian, ben noti per la loro attività di guide e per le loro doti di climbers che li hanno portati, fra l'altro, a lavorare appesi alle scogliere a monitorare animali e piante.

Mentre Nicolas si occuperà di portarci in auto al punto di partenza del cammino e di venirci a prendere al termine, la mia guida vera e propria oggi sarà Sebastian. Un ragazzo alto e magro, super barbuto, dai lunghi capelli neri. Ha studiato in Cile e si sta specializzando alla Colorado University (negli Stati Uniti) in gestione e monitoraggio delle aree protette. Suo nonno è stato uno dei più importanti archeologi di tutti i tempi per quel che riguarda l'Isola di Pasqua, tanto che il suo nome è famosissimo ovunque. Innamorato di questi posti, lo studioso ha sposato una donna locale, finendo poi per stabilirsi definitivamente qui.

La costa nord è una regione spettacolare. Il primo aspetto che colpisce l'attenzione è l'immensa distesa di pietre: un grande prato disseminato di sassi neri – di origine vulcanica – ordinatamente disposti ogni 40cm, in tutte le direzioni. Sono i resti dell'eruzione più recente, anche se si parla di almeno 2000 anni fa. I resti archeologici sono ovunque: petroglifi, villaggi, case a forma di canoa, grotte-abitazione, grotte-pollaio, altari e numerosi Moai caduti. Qui non ci sono le transenne, i cartelli, i ranger come nel resto dell'Isola. Tutto appare esattamente come decine o centinaia di anni fa, tanto che mi sembra di essere un archeologo che per primo scopre nuovi resti.

Siamo entrati in una grotta che forse era usata come abitazione, o forse come fortino, o forse come prigione. L'ingresso è strettissimo e bisogna strisciare per diversi metri, poi la grotta si apre, decorata con segni che rappresentano make-make, la principale divinità dell'Isola. Dappertutto, guardando bene per terra, è facile individuare antichi manufatti di pietra nera: lame di coltelli, scalpelli, punte di freccia. Un museo all'aria aperta.

Ci siamo arrampicati lungo la parete di roccia che si affaccia sull'oceano, alla ricerca di alcune grotte naturali, usate ancora oggi dagli isolani come riparo o come ritrovo. Quasi sempre si trovano ossa di diverso tipo, alcune sicuramente umane. In una delle grotte, dall'accesso particolarmente verticale, abbiamo trovato tantissime ossa umane. Sebastian mi ha detto che quando qualcuno sente che è arrivata la sua ora, si porta in questa grotta per morire in pace, a contatto con l'oceano.

Il cammino in sé è tecnicamente facile, anche se alcuni passaggi (non obbligatori) su roccia potrebbero impensierire chi soffre di vertigini. Pause comprese, abbiamo impiegato circa cinque ore, con arrivo alla bellissima spiaggia di Anakena. Ecco il percorso esatto su runkeeper.

Appena finito di strisciare per uscire dalla grotta.

Petroglifo tartaruga.

All'arrivo, sorpresa. Due amici cileni di Nicolas e Sebastian sono appena arrivati dal continente e, in loro onore, si fa una bella grigliata sulla spiaggia. Sono invitato anch'io, insieme ad altri amici nativi di Rapa Nui. Parlando con loro, mi sono reso conto di quanto le loro storie siano uniche. Quasi tutti, dopo un'infanzia sull'Isola, partono per fare esperienza all'estero, spesso anche parecchi anni, girando di paese in paese, imparandone le lingue, ricavandone una mentalità cosmopolita molto più avanzata di quella di tanti trentini.

Grigliata sulla spiaggia.

 

Vulcani, isolotti e uomini uccello

Ranu Kau, il cratere del vulcano ORongo.

Giovedì 23 maggio 2013. In viaggio: giorno 85. Isola di Pasqua: giorno 3.

Considerato che intorno all'Isola di Pasqua ci sono 2000km di oceano, sembra strano che degli uccelli migratori passino regolarmente di qui. Esiste invece una particolare razza di volatili che ogni anno, verso metà settembre, arriva da queste parti per nidificare. Non vanno sull'isola principale, ma su una minuscola isoletta, poco più di uno scoglio, che si trova a poco più di un chilometro dalla costa sud-ovest.

Ecco l'isoletta Motu Nui vista dal bordo del cratere.

Chiamata Motu Nui, l'isoletta è stata importantissima per gli abitanti dell'isola. Ispirati da questo evento periodico, nei secoli hanno sviluppato una religione che prevedeva l'esistenza di uomini uccello, corpo di uomo, testa d'uccello. Ogni anno, fino al 1867, i capi tribù facevano una gara molto particolare. Verso i primi di settembre si riunivano in un luogo sacro in cima al cratere del vulcano ORongo, insieme ai sacerdoti agli altri abitanti di rango elevato. Dalla cima del vulcano parte una parete ripidissima a picco sul mare. I partecipanti dovevano scendere la parete senza sfracellarsi (non era raro che capitasse), nuotare i 1400 metri fino a Motu Nui, e attendere ben nascosti l'arrivo degli uccelli migratori. L'attesa poteva durare pochissimo, come anche settimane. Lo scopo del gioco era rubare un uovo appena deposto e tornare per primi alla base. Il vincitore godeva di enormi onori, diventava una sorta di incarnazione del dio uccello, e per un anno otteneva potere assoluto su tutta l'isola.

Pioveva...

Per oggi avevo previsto di visitare parecchi siti archeologici dell'Isola, ma dopo la prima escursione mi sono dovuto fermare causa pioggia estrema. Partendo dalla città, ho risalito a piedi il vulcano ORongo, fino ad arrivare ai resti del luogo sacro da dove iniziava la gara. Una piacevole passeggiata, priva di difficoltà, anche se alcune anziane signore stavano quasi collassando per l'immane salita di 300 metri.

Parte del cammino passa esattamente sul bordo del cratere, regalando viste alquanto bizzarre. Il fondo del cratere è infatti una via di mezzo fra una palude e un lago (vedi foto sopra al titolo). Mi ricorda la palude che Frodo, Sam e Gollum devono attraversare per arrivare alle porte di Mordor. Sto parlando del Signore degli Anelli, ovviamente.

Vista la pioggia, ho passato il pomeriggio a raccogliere informazioni su quali cammini fare in Perù. Ho trovato percorsi che al momento mi stanno decisamente entusiasmando, in particolare mi attira il giro dell'Ausangate. Ora provo a contattare alcune agenzie.

Sperando nel bel tempo, domani conto di visitare il resto dell'isola.

Hanga Roa, l'unica città dell'Isola, vista dalle pendici del vulcano.

 

Traversata di Tahiti Iti, seconda parte

Domenica 19 maggio 2013. In viaggio: giorno 81. A Tahiti: giorno 9. A piedi:giorno 27.

Traversata di Tahiti Iti: giorno 2, dal campo bivacco a Tautira.

Dopo una cena molto abbondante (buonissimo il pesce crudo con latte di cocco) e una notte tutto sommato tranquilla, con calma abbiamo smontato completamente il campo, senza quasi lasciare traccia del passaggio. Come previsto, il percorso di oggi è stato più facile e breve rispetto a quello di ieri. Certo, la concentrazione ad ogni passo deve essere sempre massima, pena l'ennesimo capitombolo, ma il tempo finalmente sereno e le frequenti pause per nuotare e tuffarsi nelle numerose, spettacolari piscine naturali hanno semplificato molto la vita.

I due guadi che talvolta risultano insuperabili a causa dell'eccessiva forza del torrente non hanno presentato particolari problemi. In ogni caso, Francois, una delle guide con le quali ho passato più tempo, ci ha detto che in caso di problemi ai guadi esiste anche un percorso alternativo, ma – così dice – non è come camminare sui Champ-Elysees… mah, modi di dire francesi.

Ogni tanto, anche nelle zone più selvagge, ci imbattiamo in alberi carichi di frutti. Al mio sguardo interrogativo, tutti mi rispondono con il nome dei frutti in tre lingue: inglese, francese, e tahitiano. Eccellenti i passion fruit locali. Invece di essere tondi, marroncini e raggrinziti come quelli che si trovano nei nostri supermercati, sono molto più grandi, perfettamente lisci e hanno una forma oblunga. Il colore vira dal verde quando acerbi, al giallo quando pronti per il consumo. Ne abbiamo raccolti e divorati parecchi, slurp.

Grazie a PatrickL che ha registrato l'intero percorso con il suo GPS, e a PaulC che gentilmente da Trento lo ha elaborato, posso ora correggere quanto scritto ieri a proposito della lunghezza delle tappe. Ieri abbiamo camminato quasi 22km e non 10km come mi avevano detto. Media oraria comunque bassa, ma sicuramente più verosimile. Oggi abbiamo camminato per circa altri 10km. In alto, sopra al titolo, un'elaborazione grafica con Google Earth preparata da PaulC. Grazie PatrickL, grazie PaulC.

Tuffatore.

 

Traversata di Tahiti Iti, parte prima

Mappa ritagliata da Lonely Planet

Sabato 18 maggio 2013. In viaggio: giorno 80. A Tahiti: giorno 8. A piedi: giorno 26.

Traversata di Tahiti Iti: giorno 1, da Teahupoo al campo bivacco.

Inizio del cammino, dal giardino di una guesthouse, direttamente nella giungla.

Pensavo che le dicerie sulle difficoltà delle montagne di Tahiti fossero esagerazioni, ma mi devo ricredere.

Grazie ad una fortunata serie di coincidenze e al fondamentale aiuto di Marurai, il gestore del Punatea Village, sono riuscito ad aggregarmi a un gruppo di camminatori del posto, con l'obiettivo di fare la traversata integrale di Tahiti Iti. Organizzazione a cura di Tahiti Reva Trek, un'agenzia di guide locali coordinata dalla brava ed energetica Angelina. Le guide pensano un po' a tutto: trasporti (auto + bus + barca), cene, colazioni, allestimento del campo bivacco, oltre ovviamente ad accompagnare e a curare i partecipanti lungo il cammino.

In mezzo alla pioggia, ecco una guglia piuttosto famosa, detta Naso di Chirac. Non sono sicuro di aver capito bene, ma il nome storico dovrebbe essere traducibile come Il pene dell'eroe.

Il gruppo è molto numeroso – quasi 30 persone – e si respira una certa eccitazione; il cammino è infatti fra i più impegnativi dell'isola e viene percorso non più di tre o quattro volte all'anno. Sono l'unico vero turista, l'unico a non parlare francese. Quasi tutti sono però francesi di Francia che, per i più disparati motivi, si trovano a lavorare a Tahiti, alcuni solo per alcuni mesi, altri a tempo indeterminato. Tante storie di vita interessanti e mai banali.

Fortunatamente una delle guide ha il compito di occuparsi dello straniero. Si chiama Chen, tahitiana da tre generazioni, di origini cinesi, ha vissuto in Nuova Zelanda per un anno e dispone di un ottimo inglese. Oltre a tradurre in tempo reale le indicazioni di Angelina, mi ha regalato preziose informazioni sull'isola, sia dal punto di vista naturalistico (piante, animali, frutti commestibili), sia da quello antropologico (genti, lingue, tradizioni). Oltre ad Angelina e Chen ci sono un'altra decina di persone dell'agenzia, fra guide e aiutanti. Non male, direi.

Chen, a sinistra in basso, durante una pausa.

Come spesso accade nelle zone dell'interno, le nuvole e la pioggia dominano la scena. Oggi ha piovuto di continuo, una danza frenetica fra acquazzoni e botte di sole. Il santo poncho non si può mai togliere, ovviamente, ma durante i momenti di sole diventa una terribile sauna portatile.

Qualche numero. Otto ore di cammino per poco più di 10 20 chilometri effettivi. Com'è possibile? Semplice, il sentiero non esiste. Non esiste nemmeno una traccia degna di questo nome. Passiamo nel mezzo della giungla, fra colpi di machete, seguendo i segni incisi sulla corteccia degli alberi da Angelina qualche tempo fa. L'idea di base della traversata è di risalire i torrenti fino a scavalcare un passo fra i monti, dormire nei dintorni, e il giorno dopo infilarsi in un'altra valle sempre seguendo il corso di altri torrenti.

Momento di pausa con nuotata.

A pranzo.

Innumerevoli, davvero innumerevoli, i guadi e i tratti da fare direttamente immersi fin quasi in vita. Quando non si cammina in acqua, il terreno risulta estremamente sconnesso e scivoloso. Radici, sassi, rocce, tutto ricoperto di muschio verde, appoggiati su uno strato di fango viscido, con la stessa consistenza e viscosità del… catarro. Inevitabili le cadute; la sera tutti abbiamo collezionato qualche botta, tagli, contusioni. Io me la sono cavata con un gomito sbucciato e una caduta in acqua (zaino, poncho e tutto…), ma c'è a chi è andata peggio. In foto, le cure prestate a un signore che cadendo ha avuto la sventura di aggrapparsi a un bambù affilato, procurandosi un taglio piuttosto profondo sul palmo della mano.

Primo soccorso lungo il guado.

Ad un certo punto della salita abbandoniamo il torrente, ormai ridotto a rigagnolo che spunta dalle rocce, per prendere la direttissima: duecento metri di dislivello su una parete di rocce e fango. Attrezzata con (provvidenziali) corde fisse, in molti punti bisogna procedere a forza di braccia, anche perché i piedi non riescono a fare presa sul fondo troppo viscido. Una gran fatica.

Dall'altra parte del passo, ancora quasi tre ore di discesa sul solito terreno sconnesso e siamo arrivati al campo. Molto bello, una serie di teloni per proteggere dalla pioggia, montati su una struttura di bambù costruita in giornata usando materiali trovati nei dintorni. Un bel fuoco, un telone cucina e, per alcuni fortunati, una sorta di palafitta di bambù dove dormire la notte. Io mi sono dovuto accontentare di un letto di foglie, sempre comunque protetto da uno dei grandi teloni. L'atmosfera, mentre scrivo sul taccuino, è allegra e cooperativa, anche se quelli che oggi hanno fatto più fatica ora stanno già dormendo, completamente devastati dallo sforzo.

Cucina del campo bivacco.

Le guide stanno preparando una cena molto abbondante, con pietanze tradizionali di Tahiti. C'è il pesce crudo (che poi crudo non è), il frutto del pane, il corned beef, bistecche di Marlin alla piastra, e molto altro. In questo momento ho una fame terribile… spero sia pronto presto.

La tappa di domani dovrebbe essere più breve e più facile di quella odierna, anche se ci saranno i due guadi più profondi dell'intera traversata. Speriamo bene, anche se devo dire che dopo oggi non ho più paura di niente, in particolare… di bagnarmi.

 

Natura indomabile vs strada asfaltata: 1-0

Giovedì 16 maggio 2013. In viaggio: giorno 78. A Tahiti: giorno 6.

Ieri pomeriggio ha piovuto. Tanto.

Visto che è complicato trovare un'agenzia disposta ad organizzare una spedizione sui monti per una sola persona (forse domattina riceverò buone notizie in proposito), nel frattempo ho deciso di seguire il consiglio del gestore dell'albergo: gita di mezza giornata a Plateau de Taravao. Tutta su strada asfaltata, con brevi tratti sterrati, comunque interamente percorribili anche con auto 4×4. La destinazione si trova a poco più di 500m di quota, con bellissimi panorami verso il punto in cui le due parti dell'isola di Tahiti si toccano.

Il Plateau de Taravao, in basso a destra nella mappa, presenta diverse vie d'accesso, almeno in teoria. In alto, sulla costa, il mio albergo Punatea Village. Il gestore mi ha suggerito il tratto B, sia all'andata, sia al ritorno. Non sia mai, esigo un percorso circolare; senza dirgli nulla opto per A all'andata e C al ritorno, con 4km finali lungo la statale per tornare all'albergo. E' vero che ha accennato al fatto che A non è più percorribile, ma magicamente la mia mente eclissa questa informazione, supportata dalle immagini satellitari che mostrano chiaramente una strada asfaltata.

Quel che resta della strada (in basso si intravede una striscia bianca).

Dopo la pioggia di ieri (vedi foto sopra), oggi è una bella giornata e alle 8 di mattina precise parto tranquillo, aspettandomi qualcosa di poco più che banale. Invece… sorpresa; c'è stata infatti una lotta violenta fra l'asfalto e la natura rigogliosa, con ampia vittoria di quest'ultima. Per motivi ignoti, la strada A da qualche anno è stata abbandonata al suo destino. L'asfalto non è messo male e le strisce sono ancora ben bianche, quindi immagino che l'abbandono sia avvenuto al massimo 5 anni fa, forse molti meno. Incredibile come la giungla si sia mangiata la strada. Non c'è più nulla di artificiale, solo erba, rampicanti, arbusti, fiori pieni di api, rami, felci giganti. Stavo per rinunciare, quando ho notato alcuni steli piegati e una minuscola traccia. Evidentemente non sono l'unico pirla a voler passare da qui. Con qualche difficoltà legata all'erba alta oltre 3 metri, alle nuvole di api, al fondo viscido, ho passato l'ostacolo nel giro di venti minuti, fino a sbucare, bagnato e nero di fango, in una vera strada poco sopra. Curioso che qualcuno si sia preso la briga di installare delle corde fisse – molto utili, per altro – per superare i tratti più ripidi.

Muri di felci a lato strada.

Il resto della gita ha seguito le aspettative, una comoda passeggiata in un ambiente comunque piuttosto inusuale. Per prima cosa gli altissimi muri di felci e i frequenti passaggi che sembrano gallerie scavate nella giungla più densa. Ho trovato anche parecchie squadre di operai che ripulivano, tagliavano, sfoltivano… più che opportuno, direi.

Poi, in quota, mi hanno sorpreso le mucche al pascolo. Niente di strano in realtà, ma nella mia testa le mucche stanno in montagna, non certo a poche centinaia di metri dalla costa di un'isola tropicale. Il panorama dal Plateau de Taravao potrebbe essere sicuramente formidabile, ma è da tre giorni che le nubi hanno inghiottito le cime più alte dell'isola; la vista ne risulta di conseguenza un po' impedita (vedi foto).

Affamato come un lupo, alle 12 sono arrivato a Taravao e mi sono infilato in un ristorantino a caso, confidando in prezzi ragionevoli. Dopo tutto, mi trovavo nella periferia estrema di un villaggio secondario. Alla faccia del ragionevole! Il piatto più economico, filetto d'anatra, costava 28 euro. Devo ammettere però che ne valeva la pena: buonissimo e tantissimo, quel che ci voleva. Niente foto, la fame ha prevalso…

Non avevo mai visto una palma del genere.

Alberi giganteschi con fiori rossi. Che siano rododendri anche questi, come in Nepal? Ne dubito fortemente, ma...

 

Mare + Montagna a Kaikoura

Incredibili contrasti lungo la Kaikoura Peninsula Walkway: pascoli alpini, alte montagne e... il mare!

Mercoledì 1 maggio 2013. In viaggio: giorno 62. In Nuova Zelanda: giorno 8.

Dopo un improvviso crollo notturno della temperatura (4°C all'interno del campervan) questa mattina ho trovato cielo terso e aria frizzante. Ho anche scoperto che, nonostante l'impressione negativa di ieri al buio, dopo tutto ho dormito in un bel posto (vedi fotografie), sulla riva di un laghetto popolato da un gruppo di cigni neri.

Ho dormito qui.

Laghetto con cigni neri.

Il piano per il momento è di viaggiare lungo la costa est, in direzione sud, verso Christchurch e di fermarmi se vedo qualcosa di interessante. Beh, numerose occasioni. Qui ci sono colline verdi, alte montagne innevate, il mare, scogliere, mucche, pecore, foche, gabbiani… tutto mischiato contemporaneamente e con armonia.

Guidare è un piacere, anche se lo stimolo a fermarsi per scattare qualche fotografia è quasi costante. Non posso saltare la mia prima colonia di foche. A pochi metri dalla strada, sugli scogli ce ne sono a decine, tranquille a prendere il sole e a riposarsi. Sono belle cicce e hanno una folta pelliccia. Non per niente sono le fur seal della Nuova Zelanda.

Dopo qualche decina di chilometri, resto colpito dalla bellezza dei contrasti fra mare e monti di Koikoura e decido di passare dall'ufficio informazioni per scoprire qualcosa di più di questo posto. Piacevole sorpresa: la principale attrazione di Koikoura è una famosa passeggiata che porta a fare il giro completo della penisola, sia via spiaggia, sia dall'alto della verde scogliera, passando per una importante colonia di foche. Ecco allora risolta la giornata: oggi si cammina lungo la Kaikoura Peninsula Walkway. Credo siano circa 13km, e ne valeva decisamente la pena (vedi foto).

Nel pomeriggio ho ripreso il viaggio verso sud, sempre lungo la costa. Domattina presto conto di arrivare a Christchurch, dove passerò alcune ore. Poi, via… alla volta della lontanissima Queenstown che, secondo Carla dell'ufficio informazioni di Otaki, è la più bella città della Nuova Zelanda… e mentre lo diceva, le scappava la lacrimuccia. Queenstown è anche la città più vicina al Milford Track, quindi tutto rientra nei piani. A proposito di questo cammino, oggi ho raccolto nuove informazioni e credo che sia possibile percorrerlo, anche se devo stare molto attento agli orari dei vari trasporti. Definirò meglio il tutto una volta arrivato a Queenstown.

 

Il cielo è blu sul Tongariro

Blue Lake (1725m) a sinistra, uno degli Emerald Lakes a destra.

Domenica 28 aprile 2013. In viaggio: giorno 59. In Nuova Zelanda: giorno 5. A piedi: giorno 25.

Tongariro Alpine Crossing (TAC): giorno 1.

Miracolo! Fortunissima! Le previsioni del tempo erano sbagliate. I miei vulcani hanno generato una bolla di alta pressione di 30km di raggio che ha tenuto lontano le nuvole. Non so come sia possibile, ma davvero, in quasi tutte le direzioni si poteva vedere, lontano, una distesa di nuvolacce cariche di pioggia. Se avessi una connessione internet flat mi metterei a cercare le immagini satellitari di questa mattina; sono sicuro che troverei una Nuova Zelanda bianca di nubi, con un buco circolare intorno al Tongariro…

Il punto di partenza del cammino è un parcheggio che si trova al termine di 7km di strada non asfaltata. Alle 5:30 la stradina viene aperta e, dopo il passaggio di 60 veicoli, inesorabilmente chiusa fino al mattino successivo. Qui è autunno inoltrato (equivalente al nostro fine ottobre) e l'alba arriva solo alle 7. Sveglia quindi col buio pesto, allietata però da un'incredibile e molto inaspettata (fino alle 23 di ieri pioggia a catinelle) distesa di stelle. Alle 6 ero al parcheggio, già mezzo pieno, dove con tutta calma ho fatto colazione.

In lontananza un alto vulcano già innevato, sede delle più importanti stazioni sciistiche dell'isola Nord. Più vicino, in fondo alla valle, a sinistra il contorno frastagliato del Tongariro (1967m) e a destra il notevole cono vulcanico rosso del Ngauruhoe (2291m) che, pur essendo più alto, è considerato uno sbocco secondario del Tongariro.

Inizio a camminare alle 7:30, su largo e pianeggiante sentiero, insieme a una moltitudine di altri escursionisti. Dalle dimensioni degli zaini e dall'ora di arrivo al parcheggio si può individuare chi, come me, aveva deciso di partire con qualunque tempo, e chi invece, visto il bel tempo, ha improvvisato una gita domenicale. C'è da dire che molti dei meno attrezzati hanno dovuto rinunciare una volta saliti in quota a causa del vento, fortissimo e freddo soprattutto lungo i bordi dei crateri.

In mezzo al South Crater.

C'è chi fa una corsetta nel South Crater. La prossima volta, anch'io!

A parte la vegetazione strana e i sassi evidentemente volati nella loro posizione attuale nel corso di varie eruzioni, è l'ingresso e l'attraversamento del South Crater (1659m) a dare davvero la sensazione di trovarsi non solo in zona vulcanica, ma proprio dentro un vulcano. Dopo il South Crater, ecco la salitella dove il vento di cresta comincia a battere senza pietà. Molti non resistono che pochi secondi, in braghette corte e maglietta, e ritornano sui loro passi verso il parcheggio.

Il punto più alto del TAC si trova a fianco del Red Crater (1886m), da dove si gode di una vista pazzesca. Oltre ai già citati vulcani, in primo piano, poco sotto, si possono ammirare il Blue Lake (1725m) e uno degli Emerald Lakes; specchi d'acqua che, grazie alle esalazioni vulcaniche, presentano una colorazione azzurra straordinaria. Lontano, dietro al Blue Lake, si può ammirare la brillante superficie del Tuapo Lake illuminata dal Sole. Ancora più distante, infinite montagne disposte su piani multipli, dall'apparente colore blu.

Blue Lake (1725m).

Uno degli Emerald Lakes.

Da qui si potrebbe proseguire per altri 700m fino al Blue Lake, ma un cartello (vedi foto) sconsiglia di andarci, se non nel contesto di un cammino più lungo che porta a scendere verso sud-est, e comunque muovendosi alla massima velocità possibile, per minimizzare il rischio di essere colpiti dalle pietre volanti o da esalazioni pericolose. Pochi metri oltre il cartello si apre un buco nel terreno, dal quale escono strani fumi giallognoli… Dietro un'altura c'è una nuvola molto bassa… ma non è una nuvola; sono infatti fumi vulcanici. Quando vedo che i locali sembrano spaventati, anch'io decido di rinunciare ai 700m aggiuntivi, soddisfatto comunque della vista dei laghi da sopra.

Ho tutto il tempo quindi di salire fino alla cima del Tongariro (1961m), poco distante. Sono l'unico a fare questa scelta, probabilmente a causa del cammino tutto in cresta, dove si viene frustati dal vento. In effetti non è semplicissimo mantenere l'equilibrio e in più occasioni devo tenermi alle rocce per non volare via (non sto scherzando), ma di per sé la salita sarebbe del tutto priva di difficoltà. Bellissima la vista dalla cima (vedi foto), con South Crater, cono del Ngauruhoe, e vulcano innevato subito dietro.

Vista (quasi) dalla cima del Tongariro (1967m).

Sulla via del ritorno avrei tutto il tempo di affrontare la più impegnativa salita del cono rosso del Ngauruhoe (2291m). Senza sentiero, 600m di salita su ghiaione ripidissimo, di fianco all'ultima colata lavica del 1975. La salita però è già piena di gente e notoriamente uno dei rischi principali è legato ai sassi che, mossi da chi sta sopra, possono precipitare in testa a chi sale. Osservando i salitori, tutti in fila indiana, noto anche che hanno sbagliato via, invece di risalire in mezzo, hanno seguito una falsa traccia e si sono bloccati sulle rocce quasi verticali. Alcuni stanno tornando indietro, altri si sono arrampicati, gli altri da sotto sono a rischio di beccarsi un sasso in testa. Sarebbe stato più saggio salire per primo la mattina presto. Decido quindi di non prendermi rischi inutili e con calma riprendo il cammino verso il parcheggio, passando dalla piacevoli cascatelle di Soda Springs e dalla Mangatetopo Hut, un tipico rifugio neozelandese. Diverso da quelli ai quali siamo abituati, l'edificio è simile a quello dei rifugi alpini, ma non ci sono gestori e funziona essenzialmente come un bivacco di lusso.

Ora sono al calduccio nel mio campervan, in un anonimo parcheggio lungo la strada per Wellington. Manco a dirlo, appena mi sono lasciato alle spalle il parco nazionale del Tongariro, pioggia torrenziale. Nulla da dire, sui vulcani sono stato fortunatissimo, anzi, di più!

Domani viaggerò con tutta calma alla volta di Wellington e non scriverò il diario.

E questo, che vulcano è?

Altro cono misterioso: cosa sarà?

 

I dodici apostoli

Lunedì 22 aprile 2013. In viaggio: giorno 53. In Australia: giorno 12. A piedi: giorno 24.

Great Ocean Walk: giorno 5. Da Devils Kitchen a 12 Apostles, 16km.

Si è ripetuto il copione del primo giorno: stelle fantastiche alle 22, vento violento a mezzanotte, acqua a secchiate dalle 2 in poi. Col piccolo particolare che invece di essere nell'ostello, ho passato la notte in tenda. Nulla di terribile, fortunatamente struttura e impermeabilità della copertura hanno tenuto bene, ma in più occasioni nel corso della notte mi sono trovato il telo spalmato sulla faccia a causa della forza del vento.

Sveglia la mattina presto, ben prima dell'alba, per riuscire ad arrivare puntuale all'appuntamento a fine cammino entro le 12. Solo che continuava a piovere e ripiegare la tenda è stato abbastanza complicato, molto umido, insomma un lavoro sporco. Tanto più che ho dovuto rimuovere una ventina di sanguisughe applicate a ventosa sul telo della tenda. Probabilmente erano state attirate nel corso della notte dal calore del mio corpo, ma per fortuna sono rimaste bloccate. Non è così facile farle desistere; sanno usare entrambe le estremità per aggrapparsi e toglierele tutte, sempre sotto la pioggia, è stata un'impresa. Bilancio finale: sveglia alle 6:00, partenza alle 7:30, venti sanguisughe volate lontano…

La prima parte, fino a Princetown, si sviluppa nella foresta su comodo sentierino pulito e senza i dilivelli isterici di ieri. Da Princetown in poi si segue la costa dall'alto, uno dei tratti più spettacolari. Purtroppo le nuvole nere si dispongono a strisce e il tempo impazzisce. Sole per 2 minuti, acqua “cats and dogs” per 30 secondi, 3 minuti di sole, 2 minuti di grandine, e così via, fino alla fine. Per fortuna il poncho tiene alla grande e, se possibile, l'avvicinamento ai grandi bastioni dei Twelve Apostles risulta ancora più esaltante e selvaggio.

Primo scorcio dei dodici apostoli. Da lontano, sotto la pioggia, con nuvoloni neri subito oltre.

Conclusione ufficiale del GOW.

Il punto d'arrivo ufficiale del GOW sarebbe un anonimo parcheggio con punto panoramico chiamato Gibson Step. A parte un cartello, la splendida spiaggia battuta dal vento e due grandi roccioni che rompono le onde non c'è nulla. Ci si può però immettere sulla strada, la famosa Great Ocean Road, e nel giro di poco più di un chilometro si arriva al famoso sito dei Twelve Apostles (con passerelle, ristorante, parcheggione, turisti, motel, hangar per elicotteri, ecc). Non c'è bisogno di particolari presentazioni, è uno dei luoghi simbolo dell'Australia, lascio la parola alle fotografie.

Vista da Gibson Step.

Alcuni dei dodici apostoli.

Sono arrivato alle 11, con ampio anticipo. Andrew e Adam arrivano puntualissimi poco prima delle 12, con un altro gruppo di surfisti, questa volta tutti inglesi in vacanza. Tutto fila liscio e nel giro di qualche ora sono di nuovo a Melbourne.

Fantastica l'accoglienza di Dino e Jane che, oltre a farmi sentire sempre il benventuto, mi preparano un'eccellente e abbondante cena a base di lasagne. Come essere a casa, grazie!

Con Dino, Jane, e Charlotte, la loro figlia più giovane.

Bilancia alla mano, ho perso oltre due chili in cinque giorni… e già partivo piuttosto magro (da 79kg a meno di 77kg). Colazioni inadeguate a parte, non ho mai sofferto la fame, ma evidentemente ho calibrato male i pasti. Nulla di grave vista la breve durata del cammino, ma devo imparare a gestire meglio il cibo e scoprire quali prodotti offrono il migliore compromesso fra peso da trasportare, apporto calorico, sapore, ecc.

Domani passerò la giornata a Melbourne, dedicandomi al giusto relax, agli ultimi preparativi per la prossima tappa, e a ricopiare il diario del GOW dal taccuino all'ipad. Ci si risente fra un paio di giorni dalla Nuova Zelanda!

 

GOW, la tappa più dura

Domenica 21 aprile 2013. In viaggio: giorno 52. In Australia: giorno 11. A piedi: giorno 23.

Great Ocean Walk: giorno 4. Da Johanna Beach a Devils Kitchen, 26.6km.

Un tizio che ha la casa sul cammino ha installato pirata e cassa del tesoro: preziosa acqua e mele gratis. Se invece si vuole la marmellata bisogna pagare un doblone d'oro (i.e. la moneta da 1 dollaro australiano).

Ormai mi sto abituando alla vita da campaggiatore GOW. Si arriva, si appoggia lo zaino nello shelter, poi si cerca una buona piazzola (tanto sono sempre da solo e sono tutte libere) e… base, paletti, copertura, picchetti grandi, tiranti, picchetti fini, materassino attivato, sacco a pelo: tutto pronto!

Oggi doveva essere la tappa più dura, ed effettivamente lo è stata. Non tanto per la lunghezza in sé, 26.6km, ben sotto la tappa media del Cammino2012, ma per i continui saliscendi. La costa è fatta di tante insenature, ognuna delle quali forma una valletta stretta e ripida che sale fino a collegarsi alle colline dell'entroterra. Il GOW passa le infinite insenature prima scendendo fin quasi al mare, poi risalendo l'altro versante – ripidissimo – con dislivello in salita ogni volta compreso fra i 70 e i 150 metri.

Ne vale la pena, però. Quella di oggi, complice l'inaspettato (inaspettatissimo!) bel tempo, è stata la tappa più spettacolare finora. Se in futuro dovessi tornare da queste parti e avessi solo un giorno a disposizione, rifarei senz'altro proprio questi 26.6km.

Canguro gigante proprio sulla mia strada.

Ho fatto amicizia con i canguri. Stamattina un gruppo di tre giovani maschi (vedi foto sopra) che provavano, fra loro, tecniche di lotta. Poi, nel pomeriggio mi sono dovuto confrontare con un canguro gigante, molto più alto di me, forse era intorno ai due metri e venti (vedi foto). Si stava riposando proprio a lato sentiero e quando mi ha sentito arrivare si è alzato in tutta la sua altezza. Ci siamo guardati negli occhi, poi lui ha cominciato a scuotere la testa e a sbattere le orecchie. Magari era un segnale di benvenuto, ma nel dubbio ho battuto in ritirata. Sono tornato indietro di un centinaio di metri, nascosto alla sua vista, e ho aspettato dieci minuti. Quando sono tornato, accidenti, era ancora lì, a guardarmi e a fare gesti con le orecchie. Ho allora deciso di sbloccare la situazione, anche perché non avevo tragitti alternativi. Mi sono mosso a passo deciso sul sentiero, facendo finta di non vederlo, anzi, ignorandolo completamente. In cuor mio mi vedevo già gonfio di botte e / o sventrato, ma è andata bene, quando sono arrivato ai 3 metri di distanza, si è girato e con due balzi enormi è sparito. I canguri sembrano creature pacifiche e socievoli, ma posso assicurare che questo faceva decisamente paura: torreggiante, arti muscolosi, artigli affilati e… orecchie sbattute!

Breve nota sul cibo. Due barrette energetiche e un po' d'acqua NON sono sufficienti come colazione. Arrivo sempre a ora di pranzo senza energie. Da ricordare per il futuro.