Giorno 20, domenica 6 maggio, Reliegos – La Virgen del Camino

L’avvicinamento alla città di Leon, ultimo grande centro urbano prima di Santiago, dovrebbe essere il tratto più brutto di tutto il pellegrinaggio. La guida prospetta lunghi tratti a contatto con auto e camion, conditi con ampie dosi di asfalto. Secondo me, da quando è stato scritto il libro (2010) il percorso è variato leggermente e i tanto temuti contatti pericolosi con le auto sono davvero poca cosa, soprattutto se confrontati con quanto visto i primi giorni in Francia.

L’inizio tappa è molto simile a quanto vissuto ieri: ipnosi, ipnosi, ipnosi… Unica evoluzione, si cominciano a vedere alcune montagne innevate in lontananza. Non so se il cammino arriverà da quelle parti, ma effettivamente per i prossimi giorni sono previste alcune ascese impegnative fino a più di 1500m di quota.

Dopo Puente de Villarente, la situazione peggiora sensibilmente, con passaggi accanto alle auto, ma solo per brevi tratti. Per lo più l’avvicinamento a Leon avviene lungo una comoda strada sterrata che talvolta costeggia la statale, talvolta le evita del tutto. L’effetto ipnotico si perde, ma non è poi così male come tutti dicono.

Dopo una breve salita si domina la città. A parte la cattedrale che, anche vista da lontano, fa la sua porca figura, la prima impressione non è eccezionale: molti centri commerciali, una grande periferia, infiniti edifici anonimi.

Sono arrivato a Leon centro verso le 14, in ritardo rispetto alle mie previsioni, affamato, anzi, affamatissimo, al punto di essere quasi in crisi. Ma oggi, se ho ben capito, non è stata una domenica qualsiasi per gli spagnoli. Credo si trattasse della festa della madre, o qualcosa del genere. Insomma, erano tutti in giro, elegantissimi, a passeggiare e a far grandi riunioni di famiglia nei ristoranti. Molti locali erano chiusi a causa del giorno festivo, mentre tutti quelli aperti erano al gran completo: tutti i tavoli prenotati. Dopo essere stato respinto in almeno una quindicina di locali (ristoranti, bar, cervecerie, café) ho cominciato a preoccuparmi. Che fare? Alla fine, verso e tre e mezza, ho trovato un tavolo libero nel locale più scarso di Leon, dove ho mangiato la pasta più orrenda della mia vita.

Il centro città è molto affascinante: chiuso al traffico e pieno di turisti, famiglie, suonatori ambulanti, tavolini. Mi ha richiamato alla memoria alcuni scorci di Salisburgo e di Budapest, non tanto per l’architettura, ma per l’atmosfera generale (e forse per il mio stato d’animo).

Dopo un lungo riposo insieme all’amico della foto, ho ripreso a camminare verso la destinazione di giornata: Virgen del Camino, paesone di periferia che si raggiunge dopo 8km di asfalto in ambiente decisamente brutto e a tratti degradato. Tanto per dare un’idea, sono rimasto colpito nell’osservare innumerevoli persone che frugavano nei cassonetti alla ricerca di qualcosa di recuperabile. Forse si dedicano a questa attività solo le domeniche pomeriggio, ma comunque non è stato uno spettacolo piacevole.

Ah, la tabella dice che mancano 302.2km a Santiago!

Giorno 19, sabato 5 maggio, Moratinos – Reliegos

Ipnotico. Non saprei come altro descrivere quanto visto oggi. A parte alcune brevi tratte intermedie, i punti chiave della tappa sono stati due lunghi segmenti estremamente ripetitivi: strada asfaltata nuova completamente deserta, stradina sterrata che la affianca, fosso fra le due, alberelli stitici ogni 5 metri sulla sinistra, pianura sterminata in tutte le direzioni. Questa mattina 5km così, nel pomeriggio ben 13km senza interruzione.

Ho camminato quasi sempre da solo e devo dire che ho trovato stimolante l’estrema ripetitività del paesaggio: facilita la riflessione e, dolori a parte, conduce il sistema mente/corpo in uno stato di quasi-trance. E’ difficile da spiegare, ma ci si sente come se il tempo non avesse più senso e il gesto del camminare fosse l’unico punto fisso dell’universo. Da quanto si cammina, quanto si dovrà camminare ancora, diventano questioni prive di significato: si cammina e basta, come se dovesse essere per sempre e da sempre. Come dicevo poco sopra, ipnotico. Sono anche contento di non aver avuto bisogno di ricorrere all’estremo rimedio delle cuffiette per ovviare alla noia: non mi sono annoiato per niente! Fra l’altro, è stato un continuo alternarsi di sprazzi di sereno ed enormi sistemi temporaleschi. Mi sono bruciacchiato il naso e, allo stesso tempo, mi sono beccato in testa un numero imprecisato di grandinate.

E’ stato un po’ deludente scoprire come moltissimi pellegrini optino per una variante poco nobile. Arrivati a Sahagun, prendono direttamente il treno per Leon, perdendosi queste tratte considerate noiose e dure, ma che secondo me sono tasselli fondamentali e parte integrante del cammino. Pare che, contrariamente a quanto annunciato ieri, anche Harold sia saltato sul treno per Leon: buuuuu…

Per una fortunata coincidenza ho brevemente ritrovato Serena. La mia lunga pausa pranzo le ha permesso di riprendermi e abbiamo camminato insieme fino a El Burgo Ranero, sua destinazione odierna. Anche se i frequenti temporali ci hanno impedito di parlare a lungo, resto nuovamente stupito di come i dolori spariscano e di come i chilometri passino in fretta quando si cammina con un’altra persona. Dopo averla salutata, ho camminato per ore sul tratto ipnotico di 13km e dubito quindi che domani (e, tanto più, i giorni successivi) ci saranno altre occasioni di vedersi: peccato.

Domani ci sarà l’ingresso e l’uscita nella grande città di Leon. Mi aspetto un’esperienza di cammino poco piacevole, come nel caso di Logroño e Burgos. La guida scrive addirittura che domani ci sarà il pezzo più brutto dell’intero pellegrinaggio: un eterno tratto lungo la mega-statale, a stretto contatto con auto sfreccianti e camion puzzolenti. Mah, vedremo.

Giorno 18, venerdì 4 maggio, Villalcazar de Sirga – Moratinos

La via Aquitana. Basta citare questo nome per evocare sentimenti molto contrastanti negli ex-pellegrini che già hanno percorso il cammino di Santiago. Da una parte, timore e rispetto, dall’altra, la soddisfazione per essere riusciti a superare la difficile prova. Anche la guida mette in guardia i futuri camminatori dalle insidie di questo tratto: 17km di nulla, niente acqua, niente ombra, tutto dritto, nessun paese in vista per ore… Ovviamente le condizioni diventano proibitive in estate o comunque nelle giornate assolate, tanto che in agosto pare venga predisposto un servizio di pronto soccorso che presidia questo tratto.

Anche oggi non sono solo e ho avuto la fortuna di poter affrontare la via Aquitana in compagnia di Serena e di Harold, ragazzo mezzo canadese, mezzo tedesco, che abbiamo incontrato appena usciti dall’ostello. Nonostante la stazza non indifferente, Harold cammina spedito e condividerà con noi l’intera tappa. Sguardo un po’ spiritato, dotato di parlantina inarrestabile, è molto estroverso e pieno di interessi. Ho l’impressione che Serena soffra un po’ la conversazione continua in inglese, lingua che non domina completamente, anche perché oggi per lei, che ha cominciato a camminare solo da quattro giorni, è arrivata una piccola crisi (vesciche, dolori vari, cattivo sonno).

I primi chilometri di via Aquitana scivolano via senza problemi, fra battute, racconti, confidenze varie. Il tempo molto freddo e il cielo coperto ci hanno senz’altro aiutato a non subire le principali insidie della via, ma comunque, quando mancano 5km, avvertiamo tutti e tre la vendetta dell’Aquitana. Il vento rinforza di brutto, comincia a piovere orizzontale, la temperatura si abbassa… Per Serena inizia qui la crisi. Harold smette di parlare, diventa serio serio, inserisce le cuffiette, e prosegue a testa bassa. Anch’io ho i miei bei problemi per un improvviso e violento litigio con il mio zaino. Forse il vento che spinge forte di lato mi cambia il bilanciamento e il vecchio dolore fra le scapole si ripresenta con intensità mai provata. Stringendo i denti e affamati come lupi mannari arriviamo comunque verso ora di pranzo alla fine della prova e ci fiondiamo a svaligiare il bar del paesello.

Il pomeriggio è più tranquillo, anche se i paesaggi continuano ad essere monotoni: quasi ovunque il cammino consiste in una stradina sterrata che costeggia strade asfaltate. Fortunatamente il terreno ondulato e molto verde che ci circonda possiede una certa bellezza e ci aiuta ad alleggerire la fatica.

Per Serena e Harold la tappa finisce a Terradillos de los Templarios, loro obiettivo di giornata, mentre io ho in programma di camminare per altre 2 o 3 ore. Un’altra magia del cammino è il modo in cui ci siamo salutati, da pellegrini. Forse ci rivedremo domani, forse in un futuro più lontano, forse non ci vedremo mai più. Dopo due giorni a stretto contatto poteva essere complicato o difficile separarsi, ma tutto si è risolto in un semplice abbraccio e nel saluto del pellegrino: Buen Camino!

Pochi chilometri dopo ho cominciato e sentire i primi tuoni e una valanga di nuvole nerissime in avvicinamento. Stavo transitando per Moratinos, un paesino di 22 anime che sulla guida non è nemmeno citato e che, stando ai cartelli segnaletici, non offrirebbe alcun tipo di sistemazione. Assorto in temporaleggianti riflessioni, ho notato un nuovissimo agriturismo e mi sono lasciato tentare. Passerò questa notte in una stanza tutta mia, con bagno privato e cena di qualità. I gestori sono una coppia di tedeschi, 2 dei 6 stranieri residenti in Moratinos: la pulizia e la cura per i dettagli che ho trovato sono davvero sorprendenti. C’è addirittura il balsamo per il massaggio ai piedi e tutta una serie di prodotti utili per il pellegrino. Mi hanno anche regalato un libricino in italiano con tutte le distanze da Santago. Posso quindi affermare che dovrò camminare ancora per 374.1km!

Giorno 17, giovedì 3 maggio, Puente Fitero – Villalcazar de Sirga

Dopo la benedizione per il cammino ricevuta a San Nicolas, un piccolo gruppetto di (relativamente giovani) pellegrini è partito per le mesetas. Elisa e Serena, le due ragazze italiane conosciute ieri, Tim, simpatico ragazzone tedesco che ride sempre, Jolanda, ragazza lettone che ormai da dieci giorni condivide il cammino con Elisa, ed il sottoscritto. Dopo tanti giorni di cammino (quasi) solitario, è un piacere muoversi con altre persone. Abbiamo però obiettivi differenti e, mentre Elisa, Tim e Jolanda puntano ad una micro-tappa di 15km, Serena ed io abbiamo un programma più impegnativo. Ci separiamo quindi al primo paesino e affronto con Serena le prime mesetas.

Mi aspettavo un’altra tappa a base di mesetas, pace e tranquillità, ma già dopo una decina di chilometri il paesaggio cambia. Il cammino affianca per lunghissime tratte una strada dritta dritta, mettendo a dura prova il pellegrino che non riesce a valutare le distanze e a intuire come dosare lo sforzo.

Serena è una quasi maratoneta e scopro con piacere di aver trovato un’altra persona con il mio stesso passo. In generale, lei punta a tappe più brevi delle mie, ma per oggi abbiamo la stessa destinazione. Camminando insieme si verifica anche un altro effetto: tanti dolorini spariscono o, più semplicemente, non si notano. La conversazione con Serena (in italiano, finalmente) è molto varia e piacevole, e il tempo è volato. Siamo arrivati a destinazione molto presto e, per la prima volta, vivo il pomeriggio del pellegrino medio. Chiuso insieme agli altri nel locali più caldi a scrivere il diario, massaggiarsi i piedi, discutere di tappe, provenienze, cibi, dolori, motivazioni ecc. Niente male direi, anche perché fuori diluvia.

Giorno 16, mercoledì 2 maggio, Rabé de las Calzadas – Puente Fitero

La mia prima camminata nelle mesetas: una meraviglia! La guida parla delle mesetas come se fossero un qualcosa di orrendo e noioso, da superare stringendo i denti, senza affogare nella noia. In realtà l’impressione mia e degli altri pellegrini con i quali ho parlato oggi è molto differente. Il senso di pace e solitudine che si prova camminando nelle mesetas è quasi irreale. Lo sguardo si perde in ogni direzione, vedendo tutto uguale: enormi distese ondulate di verde, cielo blu, e nient’altro se non la strada da percorrere. Sembra di essere su una barca in mezzo al mare, solo che al posto del blu dell’acqua, c’è il verde del frumento. Il senso di “niente in vista” è esattamente lo stesso.

Le mesetas sono dei grandi altipiani pianeggianti che si sollevano di un centinaio di metri rispetto al resto. Non mi è chiarissimo il perché, ma nessuno abita sulle mesetas e non ci sono edifici di alcun tipo. La mancanza di case e altre costruzioni potrebbe far pensare ad un ambiente selvaggio, ma niente è più lontano dal vero. Ogni metro quadro è infatti perfettamente coltivato e nulla è lasciato al caso. Questo contrasto fra artificiale e disabitato, unito al costante ed incessante canto di innumerevoli uccelli, rende l’atmosfera decisamente magica. Stando alla guida, sulle mesetas il clima è estremo, con enormi escursioni fra giorno e notte, fra estate e inverno. Noi siamo stati molto fortunati a trovare un giornata bella e fresca; probabilmente in estate il frumento ingiallito dal Sole e il caldo estremo devono dare ai pellegrini l’impressione di trovarsi in un inferno senza fine.

Questa mattina leggendo la guida ho scoperto che a Puente Fitero, nell’Ermita di san Nicolas, c’è un rifugio gestito da italiani. Ho così deciso di tentare il tappone da 40km anche se, vista la limitatissima capienza del rifugio (solo 10-12pl), il rischio di non trovare posto era altissimo. Sono arrivato come sempre relativamente tardi e, avvistando l’Ermita di San Nicolas ho subito capito che si trattava di un posto speciale. Senza tante speranze, mi sono avvicinato ed è subito stato chiaro che non solo era già pieno, ma che numerosi pellegrini avevano già provato a trovare alloggio senza successo. Non appena però i simpatici e generosi gestori hanno capito che sono italiano, si sono fatti in quattro per trovare una soluzione: tutto sommato un pellegrino singolo si può sistemare ovunque. Al momento del timbro della credenziale si sono accorti che sono di Trento e immediatamente Franco, uno dei gestori, ha cacciato un urlo di gioia: anche lui è trentino. Per farla breve, alla fine sono stato ospite di Franco, nella stanza riservata agli hospitaleros, evviva!

Il rifugio non è come gli altri ostelli. Per prima cosa è ricavato… in una chiesa. Da una parte l’altare, in mezzo un bel tavolone, dall’altra i letti. Niente elettricità, illuminazione a candele. I gestori fanno parte della Confraternita italiana di San Jacopo e ci hanno accolti e poi salutati il giorno dopo con dei riti suggestivi. Lavanda dei piedi con presentazione e preghiera speciale prima di cena. Benedizione e abbraccio prima della partenza. I gestori, Vittorio, sua moglie Gianna, e Franco, sono molto entusiasti del cammino e sono sempre prodighi di profonde riflessioni, consigli e divertenti aneddoti.

Oltre ai gestori, ho anche conosciuto due giovani pellegrine italiane, Elisa e Serena, casualmente anche loro ospiti del rifugio e ben inserite nella comunità italo-internazionale che si è formata durante il pomeriggio. Ci sarebbe molto da scrivere sulla cena, sul piacevole dopo-cena di gruppo e, più in generale, sull’esperienza a San Nicolas, ma non ho abbastanza tempo per farlo. Conserverò comunque sempre degli ottimi ricordi delle persone incontrate e, perché no, del rifugio stesso.

Giorno 15, martedì 1 maggio, Atapuerca – Rabé de las Calzadas

Come qualche giorno fa a Logroño, anche la tappa di oggi si può riassumere come segue: avvicinamento a, attraversamento di, e allontanamento da una grande città, in questo caso Burgos. Un po’ di passi su asfalto li ho fatti ma, considerato il contesto, poteva andare molto peggio. Chi ha progettato il percorso del cammino a Burgos aveva bene chiaro in testa che “asfalto = male” e appare evidente che sono stati fatti molti sforzi per minimizzare i danni. L’avvicinamento è quasi tutto su sterrato (fangoso…), il centro è ovviamente su terreno duro, l’uscita dalla città è per la maggior parte su asfalto. Come è naturale, le zone periferiche non sono esattamente una bellezza, anche se in alcuni casi ho trovato edifici nuovi e colorati (vedi foto).

Da sottolineare che, pur in presenza di forte vento e temperature molto basse (minima 1°, massima 12°), oggi è stata una bellissima giornata e questo magari ha aiutato nel mettere in buona luce le periferie urbane.

A proposito di periferie urbane, ho trovato un losco negozietto indiano, di quelli che hanno di tutto un po’ – dal pane alle schede internazionali, dai componenti per computer ai peperoncini – aperto anche oggi primo maggio. Il gestore parlava un ottimo inglese e, dopo aver lottato per quasi un’ora con la burocrazia, sono finalmente riuscito a comprare e attivare una sim spagnola per il mio telefono. Ora in teoria dovrei poter aggiornare il diario ovunque mi trovi, senza dipendere più dai bar dotati di wifi.

Il centro di Burgos è stupendo e ricchissimo di storia. La cattedrale (foto), i musei, le viuzze, le altre chiese, le piazze… Come in molti fanno, bisognerebbe fermarsi a Burgos un giorno in più solo per visitarla. Io decido però di dedicare solo un paio d’ore all’esplorazione e poi riparto verso Santiago.

A cena eravamo una decina di persone e il mio vicino di sedia Kim Jin, un chiacchieronissimo ragazzo americano di origine coreana, è stato tutto il tempo al centro dell’attenzione, raccontando molto di sé, ma stimolando comunque la partecipazione di tutti. Jin è il secondo americano che mi consiglia di guardare il film “The way”, uscito nelle sale americane un paio di anni fa. Interamente dedicato al cammino, pare abbia creato una nuova generazione di pellegrini made in USA: sicuramente Jin è tra questi.

Un aspetto che è emerso (e che emerge sempre) è l’estrema variabilità delle persone che si incontrano, da ogni punto di vista. Bella la coppia di ragazzi di Monaco che sta facendo il cammino con la figlia di 8 mesi. Usano un po’ lo zaino portabimbi e un po’ un carretto a rotelle tipo quello che si usa per le biciclette. In questo caso però lo agganciano in vita e trainano la bimbetta. Sono partiti proprio oggi da Burgos e questa è la loro prima notte. Spero che superino tutte le difficoltà che incontreranno e che non si scoraggino per il freddo e il maltempo previsto per giovedì e venerdì (domani invece dovrebbe essere bello, come oggi). Si può vedere la mamma, Karole, alla mia destra nella foto.

Stando alla guida, domani dovrei attraversare le prime mesetas. Non so bene cosa aspettarmi, se non che dovrebbe essere un’esperienza nuova e fra le più caratterizzanti di questo tratto del cammino.

Giorno 14, lunedì 30 aprile, Belorado – Atapuerca

Quando penso a quello che ho fatto questa mattina, mi vengono in mente le ambientazioni da spaghetti western o i fumetti tipo Tex Willer o Ken Parker. La scena madre prevede l’eroe solitario che entra in città attraverso la strada principale, lentamente, senza fretta. Nessuno in giro, le finestre si chiudono, i cittadini per bene spariscono. I cattivoni invece possono essere in due posti: o accanto alla porta del saloon, o sdraiati sulla poltrona del barbiere. Questi ultimi solitamente interrompono la rasatura (lasciando metà viso bianco di crema), corrono al saloon, e sono i primi a rimetterci le penne.

Come i cattivoni dei film, questa mattina, per la prima volta in vita mia, sono andato da un barbiere per farmi radere. A causa di alcune difficoltà linguistiche, la rasatura è stata completa e, dopo quasi 18 anni, sono rimasto senza pizzetto (vedi foto) E’ stata un’esperienza piuttosto piacevole e interessante, ricca di ritualità e gesti probabilmente codificati in un apposito galateo dei barbieri. Al mio ritorno dal viaggio penso farò qualche ricerca in proposito. Ovviamente non sono stato cattivone fino in fondo: non ho infatti maltrattato alcun eroe solitario (per fortuna non ne ho visti). Piccola nota per il futuro: peluqueria in spagnolo significa parrucchiera, mentre barbiere si traduce con peluqueria de caballeros. Ovviamente l’ho imparato dopo essere entrato – zaino, mantella e tutto il resto – in un negozio pieno di signore in attesa di permanente.

La tappa oggi è stata bellissima e molto varia, come indicava la guida. Un primo tratto quasi pianeggiante e verdissimo fino a Villafranca, da dove poi iniziano i Montes de Oca, un altopiano ricco di boschi che nel medioevo rappresentava il passaggio più pericoloso del cammino: lupi, briganti, e altri pericoli naturali.

Ora i Montes de Oca sono del tutto innocui e, a parte un paio di chilometri molto fangosi, il cammino li risale e attraversa grazie ad una strada sterrata molto larga. Il punto più alto della tappa, l’alto della Pedraja (1130m), si raggiunge tramite un salita brevissima e poco pendente (3km per circa 200m di dislivello). Nonostante questo, è molto temuta dai pellegrini e ne ho conosciuti parecchi che hanno preferito chiamare il taxi… mah

Un simpatico regalo che mi hanno fatto i Montes de Oca è la grandine: niente di drammatico, chicchi minuscoli, ma pur sempre grandine. Molto utile anche in questo caso il cappello.

Arrivato a San Juan de Ortega, anticamente unico rifugio sicuro sui Montes, mi sentivo ancora bene e così ho deciso di scendere verso la grande città di Burgos, fermandomi nel paesino di Atapuerca, dove ho trovato un ottimo ostello e un po’ di gente giovane. Una coppia di inglesi ventenni e una ciclista uruguaiana molto simpatica. Ora smetto di scrivere e torno in loro compagnia.

Giorno 13, domenica 29 aprile, Cirueña – Belorado

Anche se, nel complesso, non sono rimasto particolarmente impressionato dalla regione Rioja, tutto sommato questa mattina ha dato il meglio di sé (vedi foto). Con il verde che domina, distanti montagne in tutte le direzioni, cielo livido, fasci di Sole che tagliano le nubi, durante la prima ora di cammino mi sono perso in contemplazione.

L’arrivo nella cittadina di Santo Domingo de la Calzada mi ha poi riportato ai consueti paesaggi urbani. In una piazzetta di Santo Domingo c’è uno strano monumento a forma di bicicletta. Mentre lo osservavo, ho incontrato per la prima volta dal vivo un gruppetto di domingueros. Come mi hanno insegnato gli amici spagnoli qualche giorno fa, i domingueros sono essenzialmente i turisti della domenica. Spagnoli che la domenica si alzano presto e fanno un tappa del cammino, un po’ come quando noi facciamo la classica gita domenicale in montagna. Il termine ha una connotazione negativa e derisoria, anche se mi pare non ci sia nulla di male, anzi. Beh, tornando ai domingueros, mi hanno fatto un bell’interrogatorio – da dove vengo, uh, paese latino, uh, ci capiamo, uh, dove vai, oh, dove vai oggi, ah, perché lo fai, eh – e poi abbiamo scattato qualche foto commemorativa.

Poco prima di pranzo ho superato un altro confine fra regioni della Spagna. La Rioja è finita e inizia la Castilla y Leon. Come si può vedere dal cartellone installato nei pressi del confine, il cammino resterà ora per molti giorni in questa regione. La prossima volta che passerò un confine regionale mancheranno solo 155.4km a Santiago. Mi dispiace non sapere quanti chilometri mi mancano ora, ma vedrò di ricavare anche questa informazione: a occhio direi sui 650km, ma potrei sbagliare anche di molto.

Il tempo oggi è stato clemente e i tanto temuti goccioloni non si sono ripresentati, rendendo la facile tappa di oggi molto rilassante. Ho fatto il conteggio dei giorni e, se d’ora in poi dovessi seguire esattamente la guida, arriverei a Santiago il 19 maggio (ho il volo di ritorno verso l’Italia la sera del 21). Rispetto alla guida, finora ho tenuto una media un po’ superiore e ho già guadagnato due o tre giorni. Se da qui a Santiago riuscirò a recuperarne un altro paio, dovrei riuscire ad arrivare anche a Finisterre a piedi. Male che vada prenderò comunque un autobus, non sono qui per fare le corse.

Come preannunciato ieri, oggi sono stato bravo (!?!) e stasera mi sono trovato una postazione super tranquilla in albergo: doccia con idromassaggio, stanzone dove disseminare e fare finalmente asciugare l’equipaggiamento, lavatrici e asciugatori. Ho lavato tutto e ormai sono pronto anche psicologicamente per domani. Conto infatti di arrivare a San Juan de Ortega che, stando alla guida, è uno dei luoghi più significativi e suggestivi del cammino. Raggiungibile dopo lunghe salite sui Montes de Oca, è provvisto di un rifugio per pellegrini famoso per essere parecchio spartano.

Piccola nota. Potrei scrivere ore e ore sulle persone che incontro tutti i giorni, da dove vengono, perché sono qui, e molto altro, ma non vorrei trasformare questo diario in una noiosa lista. Mi limiterò d’ora in poi a scrivere solo degli incontri più significativi e di quelli che hanno ricadute importanti sul mio cammino.

Aggiornamento 30 aprile 2012: mancavano in realtà solo 540km (vedi foto)!

Giorno 12, sabato 28 aprile, Navarrete – Cirueña

E’ ufficiale. Da oggi posso dire che tutti gli oggetti di un certo peso che mi porto sulle spalle mi sono stati necessari (o perlomeno molto utili) almeno una volta.

Ero molto dubbioso sull’utilità del poncho gigante: non pesa moltissimo, probabilmente meno di due etti, ma occupa uno spazio non trascurabile. Dopo l’esperienza dei primi giorni (bagnati) sui Pirenei, mi ero convinto che giacchetta impermeabile anti-vento, cappello di buona qualità e copri-zaino fossero la soluzione a tutte le situazioni con acqua che cade dal cielo. Oggi ho scoperto di avere torto. La pioggerellina che verso le 11 di questa mattina ha iniziato a scendere sulle teste di noi pellegrini si è presto trasformata in goccioloni e non ha dato tregua per ore ed ore. Ormai il riflesso di applicare il copri-zaino e indossare il cappello è talmente automatico che già dopo meno di un minuto dalle prime gocce, mi sentivo sicuro e pronto. La pioggia era più forte del solito… molto più forte… gocce grosse e molto inclinate… dopo dieci minuti mi sono accorto che qualcosa non andava. I pantaloni erano così bagnati che l’acqua mi aveva inzuppato anche le mutande e la sensazione non era né piacevole, né sostenibile per ore e ore. Il tracciato era completamente privo di ripari e l’unica possibilità era affrettarsi a macinare i 3km che mancavano a Najera, la città dove avevo previsto di pranzare. Lì mi sono immediatamente fiondato nel primo bar che ho trovato (un misto fra ristorante cinese e bar spagnolo) e ho fatto quasi due ore di pausa. Al momento di ripartire ho scavato in fondo allo zaino ed ho estratto il famoso “inutile” poncho gigante. E’ stata la salvezza: oltre a coprire perfettamente me e lo zaino, era lungo a sufficienza da arrivare quasi alle ginocchia. Sotto la pioggia a goccioloni ho fatto tutti i rimanenti 15km della tappa senza nemmeno bagnarmi troppo: evviva il poncho!

Non posso dire molto del paesaggio di oggi. Per la maggior parte, ho visto esattamente quello che si può ammirare nella fotografia: un pezzo di poncho, le mia gambe piene di fango, i miei scarponi pieni di fango e… tanto fango. Sono stato comunque contento, sempre meglio dell’asfalto di ieri. Comincio ad intuire il perché della scelta di asfaltare il cammino: qui in Rioja, o si asfalta, o alla prima pioggia la strada si trasforma in un mare di fango semovente.

Scherzi a parte, la tappa di oggi non è stata malaccio: niente asfalto e nuovamente paesaggi di campagna molto ondulati, con vigneti ovunque. A futura memoria, sottolineo che, per quanto visto finora, l’unico tratto orrendo del cammino è quello fatto ieri, fra Viana e Navarrete: 22km di asfalto e cemento, con decadenti paesaggi urbani e industriali.

Il paese fantasma di Cirueña dove mi fermo questa notte merita due parole. Quando l’ho visto ho subito notato qualcosa di strano. Case nuovissime e molto belle a perdita d’occhio, golf club, parchi giochi, piscina pubblica all’aperto, strade ben studiate. Solo, nessuno in giro, niente auto, tutte le imposte chiuse con cartelli “SE VENDE” dappertutto. In cima al paese, un gruppetto di case vecchie e male in arnese rappresentano probabilmente il nucleo originario del paese e l’ostello si trova proprio qui. L’hospitalero mi ha spiegato che tutto il paese è il frutto di una speculazione edilizia fatta con soldi “negri” e che nessuno è interessato a viverci, nemmeno lui (infatti abita in un paese “vero” poco distante). Da anni tutto è in vendita, ma non ci sono compratori, e nel giro di qualche tempo andrà tutto in malora. A quanto dice, sembra ci siano molti altri casi simili in Spagna.

L’ostello mi ha dato anche l’occasione di promuovere un altro oggetto del mio equipaggiamento dallo stato di “probabilmente inutile” a quello di “utile”. Quando sono arrivato era infatti già tutto esaurito, tutti i letti già assegnati. L’hospitalero, proprio grazie allo stuoino, per questa notte mi lascerà dormire per terra: evviva lo stuoino! La casa non è riscaldata e le finestre molto vecchie lasciano passare il freddo dall’esterno. Questa notte secondo me avremo non più di 5 / 10 gradi in camera: ecco quindi che anche la scelta di portarmi il sacco a pelo pesante non è stata poi così sbagliata.

Questo ostello è particolarmente spartano e non nascondo che avrei voglia di qualche comodità… Se sono bravo, domani mi cerco un albergo vero e proprio, anche perché sono previsti altri tre giorni di freddo e pioggia molto intensa.

Giorno 11, venerdì 27 aprile, Torres del Rio – Navarrete

Sono talmente abituato alla bellezza dei paesaggi che questa mattina, durante i primi 10km, non mi sono nemmeno accorto di quel che mi circondava. La vigne stavano diventando sempre più frequenti rispetto alle altre coltivazioni, ma la bellezza restava intatta. Questo cambiamento non deve stupire, del resto la regione spagnola del vino, la Rioja, si avvicinava sempre di più.

Dopo Viana però la musica cambia. Il confine con la nuova regione cade proprio nella periferia urbana del capoluogo Logroño e l’impatto non è certo dei migliori. A parte l’autostrada, il passaggio nella zona industriale, e le costruzioni un po’ squallide, sembra che i responsabili del cammino per questa regione abbiano fatto una scelta molto astuta: preparare una bella pista apposta per i pellegrini e… asfaltarla tutta! Ecco quindi che i 22km che separano Viana da Navarrete, in teoria facili e pianeggianti, diventano un calvario per piedi e articolazioni. Camminare a lungo su superfici dure come cemento e asfalto aumenta infatti di molto il rischio di tendiniti, vesciche e altri accidenti. Purtroppo non c’è modo di trovare percorsi alternativi e, quando comincio a sentire dolorini sospetti, l’unico soluzione che mi viene in mente per limitare i danni è di rallentare di brutto.

Rallento a tal punto che le signore anziane in passeggiata pomeridiana mi superano senza pietà e osservano stupite il sottoscritto che arranca in pianura come se stesse scalando il Monte Bianco: che smacco!

Come al precedente confine, anche nella nuova regione i paletti che segnano il cammino cambiano aspetto (vedi foto). Peccato che siano facile preda dei vandali che si sono divertiti a rimuovere tutti i riquadri.

Il paesaggio resta abbastanza squallido, tipo periferia urbana, fino a destinazione, nonostante il passaggio in un bel parco che comunque non riesce a nascondere l’estesa zona industriale della città.

Poco prima dell’arrivo trovo nuovi amici, anche se in questo caso più inquietanti del solito e parecchio macabri. I pellegrini hanno costruito delle piccole croci di legno e le hanno appese lungo la rete metallica che separa il cammino dall’autostrada (vedi foto). A me l’effetto non piace per niente ma evidentemente non per tutti è così: ci sono infatti almeno due chilometri di croci… bah.

L’ostello è piccolino e, con un pizzico di fortuna, riesco a prendermi l’ultimo posto libero. A quanto pare, era l’ultimo letto rimasto in tutta Navarrete, hotel compresi. Comincio a pensare che la mia strategia di camminare fino a tardi senza preoccupami troppo dei posti letto prima o poi mi porterà sorprese poco positive.

A cena mi infilo in un bel ristorante e… chi trovo? Lidio, che oggi si è sorbito il mio stesso tappone, bravo! Abbiamo fatto una bella chiacchierata, terminata presto solo a causa della chiusura alle 22 dell’ostello. E’ proprio vero che sul cammino si riesce a parlare anche con persone conosciute da poco o da pochissimo di argomenti per niente banali e di natura personale.

L’asfalto mi ha portato la prima vescica – prontamente curata – e dolorini accesi alle piante dei piedi. Domani avrei in programma di arrivare a Cirueña, distante da qui circa 34km. Se però ci sarà ancora asfalto, credo dovrò fermarmi prima. Speriamo bene.